sabato 28 maggio 2011

Recensione: C'è chi dice no di Giambattista Avellino

Regia: Gianbattista Avellino
Sceneggiatura : Fabio Bonifacci
Attori: Luca Argentero, Paola Cortellesi, Paolo Ruffini, Giorgio Albertazzi, Myriam Catania, Claudio Bigagli
"Il furto di merito è furto di vita", oppure: "dove andrà a finire questo paese? Nessuno studia più un cazzo!". Sono alcune delle frasi pronunciate dai personaggi di "C'è chi dice no", film commedia di Giambattista Avellino. In scena viene messo uno dei tipici vezzi e malcostumi italiani, quello della raccomandazione . Ad andare avanti nel mondo del lavoro sono sempre "i figli di" gli "amanti di ", mentre i meritevoli, o almeno quelli che non hanno santi in paradiso, devono rassegnarsi al precariato e agli stipendi da fame. Il tema della raccomandazione è stato già affrontato molteplici volte nella commedia all'italiana dai grandi maestri di questo genere. Ci tornano alla mente le opere di Monicelli di Dino Risi. Certo, il tasso di cattiveria e di cinismo di questo film risulta più blando rispetto a quello dei  maestri, tuttavia, si ride di gusto per gran parte del tempo , e ridere sui tipici vizi italioti  è da sempre una delle prerogative del genere. Protagonisti sono tre ottimi attori come Luca Argentero , Paola Cortellesi e Paolo Ruffini. Il film, che  si avvale anche della partecipazione di un mostro sacro del teatro italiano come Giorgio Albertazzi, narra le vicende di tre giovani studenti universitari  i quali si incontrano ad una cena di classe e si rendono conto di non essere riusciti a realizzarsi professionalmente perchè sempre chiusi dai soliti raccomandati figli di papà. Elaborano così insieme una strategia che speriamo non trovi troppi emuli, quella di perseguitare i raccomandati con una serie di azioni di stalking fondando un movimento di liberazione dalla raccomandazione "I pirati del merito". Le azioni e le situazioni si succedono rapide e divertenti, ma alla fine i tre finiranno in prigione dopo l'ennesimo tentativo di rivelare pubblicamente la corruzione presente all'interno dei concorsi universitari e tutto continuerà a funzionare come prima. "C'è chi dice no" (titolo mutuato da una celebre canzone di Vasco Rossi) è un ottimo prodotto di intrattenimento che riesce a restituire e a fissare sulla pellicola un po' della sfuggente realtà italiana dei nostri giorni. Se non si chiede al cinema di cambiare il mondo, ma solamente di risvegliare le coscienze un po' assopite degli spettatori di oggi, si può dire che questa pellicola assolva pienamente il suo compito , coniugando divertimento e riflessione sociale.
Mauro Peruzzo




 

lunedì 23 maggio 2011

Per il lavoro meglio il diploma che la laurea

Secondo il direttore generale del Censis Giuseppe Roma i laureati italiani hanno maggiori difficoltà nel trovare un lavoro rispetto ai diplomati e rispetto ai laureati degli altri paesi europei.
Roma lo ha affermato in un’audizione presso la commissione Lavoro della Camera dei Deputati: “In Italia la laurea non paga”. Queste le parole pronunciate dal direttore generale del Censis. “I nostri laureati - ha aggiunto - lavorano meno di chi ha un diploma, meno dei laureati degli altri Paesi europei, e con il passare del tempo questa situazione è pure peggiorata”. In Italia lavora il 66,9% dei laureati di 25-34 anni, contro una media europea dell’84%, l’87,1% registrato in Francia, l’88% della Germania, l’88,5% del Regno Unito. Al contrario di quello che accade negli altri Paesi europei, il tasso di occupazione tra i laureati italiani di 25-34 anni è più basso di quello dei diplomati della stessa fascia di età (69,5%).
Non solo, il tasso di occupazione dei laureati si è ulteriormente ridotto nel tempo, scendendo dal 71,3% del 2007 al 66,9% del 2010. Dati i tempi prolungati dei diversi cicli formativi, l’ingresso nella vita lavorativa per i giovani italiani è ritardato rispetto agli altri Paesi europei. Nella classe di età 15-24, il 59,5% risulta ancora in formazione, rispetto al 53,5% della media dell’Ue, il 45,1% della Germania e il 39,1% del Regno Unito. Gli occupati sono il 20,5% rispetto al 34,1% della media europea, il 46,2% della Germania e il 47,6% del Regno Unito.
La vera anomalia italiana è rappresentata dai giovani che non mostrano interesse né nello studio, né nel lavoro: in Italia sono il 12,1% rispetto al 3,4% della media europea. Dato questo scenario, Giuseppe Roma ha avanzato alcune proposte per migliorare l’occupabilità delle nuove generazioni. Le proposte sono tre. “Anticipare i tempi della formazione e metterla in fase con le opportunità di lavoro: la laurea breve dovrà sempre più costituire un obiettivo conclusivo nel ciclo di apprendimento”. “Non solo lavoro dipendente, ma soprattutto iniziativa imprenditoriale, professionale e autonoma: bisogna detassare completamente per un triennio le imprese costituite da almeno un anno da parte di giovani con meno di 29 anni”.
“Accompagnare il ricambio generazionale in azienda. Si potrebbe introdurre un meccanismo per il quale l’azienda che assume due giovani con alti livelli di professionalità potrà essere aiutata a collocare un lavoratore a tempo indeterminato non più giovane, dopo opportuni corsi di formazione, in altre unità produttive, rimanendo il costo della formazione in capo ai soggetti pubblici”. Le dichiarazioni del direttore generale del Censis confermano che i giovani italiani hanno notevoli problemi nel trovare un’occupazione. Ai dati a cui fa riferimento Roma si può aggiungere l’elevato tasso di disoccupazione giovanile. Peraltro le maggiori difficoltà che i laureati italiani incontrano rispetto ai coetanei di altri paesi europei si manifestano nonostante che la percentuale dei laureati sul totale della popolazione sia inferiore rispetto al valore medio europeo. Le proposte del direttore generale del Censis per migliorare la situazione attuale sono senza dubbio interessanti, ma ad esse se ne devono aggiungere anche altre, tendenti soprattutto ad affrontare le diversità territoriali, sia per quanto riguarda il tasso di disoccupazione che per il tasso di occupazione. Infatti è soprattutto nelle regioni meridionali che i valori di questi due tassi sono particolarmente preoccupanti.
E pertanto è necessario attuare interventi specifici per i giovani che risiedono nel Sud, ben più corposi delle proposte formulate da Roma.
Paolo Borrello


L'iconografia della Madonna nella storia , parte seconda


Madonna del parto
Nell’iconografia occidentale il motivo  della Madonna  è reso con più libertà e varietà. Fra le raffigurazioni della Madonna prima della nascita di Gesù, la più importante è quella della Madonna del parto, resa mirabilmente da Piero della Francesca . Qui ci troviamo dinanzi alla gravidanza come stato di perfezione, non di pudore. Il ventre è rigonfio. Maria è incinta (cioè senza cinta). 
Madonna lactans
Nella chiesa della Madonna delle Grazie in Roma è custodita la famosa icona che raffigura la Madre di Dio con il seno scoperto, dipinta nell'atteggiamento di allattare il piccolo Gesú. L'icona è riconducibile a uno specifico filone di rappresentazione mariana che si chiama lactans, ovvero "che allatta", e prevede come canone proprio l'esibizione di un seno nudo nell'atto di nutrire il bambino. (Cosa succederebbe oggi se in una qualsiasi chiesa venisse raffigurata una Madonna col seno scoperto?)
Più varia è l’iconografia della Madonna col Bambino. A cominciare dalla Madonna in Maestà, ispirata alla Panagia Nikopoia, seduta in trono con il Figlio sulle ginocchia,
Madonna del roseto
Makdonna della Misericordia
si sviluppava  un tipo iconograficamente più umano di Madonna, che ebbe nell’arte occidentale variazioni infinite, tra le quali si distinguono la Madonna dell’umiltà, la Madonna del roseto.
Altro tema iconografico è quello della Madonna della Misericordia, generalmente raffigurata in piedi, più frequentemente senza il Bambino, con le braccia tese ad aprire l’ampio manto per accogliere coloro che l’invocano e che essa protegge: un esempio famoso è la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca (nella pinacoteca di Sansepolcro, Arezzo),
Madonna addolorata
Infine c’è il tema iconografico, diffuso soprattutto nell’arte tedesca, della Madonna dei sette dolori o addolorata.I simboli che meglio identificano questo tipo di immagine sono: una, cinque o sette spade conficcate nel cuore, a volte evidenziato con sopra una fiamma. Il culto dell’Addolorata è stato diffuso in tutta Europa e successivamente in tutto il mondo, dai Serviti e poi anche dai francescani ed è divenuto uno dei culti popolari più diffusi.

sabato 21 maggio 2011

L'iconografia della Madonna nella storia , parte prima


Quello della Madonna è il tema iconografico più ricco di tutta l’arte cristiana, non c'è pittore o artista che non si sia cimentato con questa rappresentazione.
Madonna, santa Priscilla
La più antica raffigurazione della Madonna con il Bambino può essere la pittura murale nella Catacomba di Priscilla a Roma, vi si vede la Madonna seduta che allatta il Bambino.
Ci fu una grande espansione del culto di Maria dopo il Concilio di Efeso nel 431, quando il suo status di Theotokos ("genitrice di Dio") venne confermato, questo era stato oggetto di alcune controversie principalmente legate alle argomentazioni sulla natura di Cristo . Nei mosaici di Santa Maria Maggiore a Roma, datati tra il 432-40, appena alcuni anni dopo il concilio la Madonna non è ancora mostrata con l'alone di santità, assomiglia a una nobildonna romana in abiti da cerimonia.
Santa Maria Maggiore
La soluzione trovata dall'arte bizantina per non sminuire simbolicamente la statura spirituale del Salvatore fu quella di far tenere in braccio a Maria una sorta di bambino mistico, una creatura che fosse minuta solo nelle proporzioni, ma raffigurata con una tale ieraticità da dare l'impressione inquietante di trovarsi dinanzi a un adulto miniaturizzato. La donna che lo tiene in braccio non lo allatta né vezzeggia, ma lo indica come si indicherebbe la strada maestra, esaurendo in quel gesto tutta la propria funzione teologica.
Icona
Panagia Nikopoia
L'arte bizantina elabora diversi Modi di rappresentare Maria . Un tipo iconografico creato dall’arte bizantina fu quello della Panagia Nikopoia («Madonna che dona la vittoria»): Maria in trono, ieratica, regge il Bambino posato sulle ginocchia con una o due mani.

mercoledì 18 maggio 2011

Recensione: La vita facile di Lucio Pellegrini



Regia: Lucio Pellegrini Interpreti: Piefrancesco Favino, Stefano Accorsi, Vittoria Puccini, Camilla Filippi, Angelo Orlando Durata: 96 min Genere: Commedia

Nessuno è come sembra: il buono non è buono, il cattivo non è cattivo e l'amore non è che una parvenza d'amore. Una commedia dai risvolti sociali La vita facile, del giovane regista astigiano Lucio Pellegrini, una commedia che ci parla dell'Italia contemporanea attraverso la storia di due giovani: Mario e Luca. Compagni di università i due si laureano  in medicina insieme e sono  entrambi innamorati della bella ma un po' fatua Ginevra. Quando, alla fine, Ginevra pur essendo attratta da Luca, deciderà di sposare Mario perchè le garantisce una maggior tranquillità economica, Luca se ne andrà in Africa a lavorare negli ospedali da campo. Nel frattempo Mario diventa un luminare della chirurgia , ma la sua vita non è perfetta. Decide quindi di partire per l'Africa per aiutare il suo vecchio amico Luca. Quando  anche Ginevra decide di raggiungerlo  la storia precipita verso un inevitabile menage a trois . Il racconto si costruisce attraverso una serie di analessi, fino a sfociare nell'animato finale , quando tra i due protagonisti maschili, coinvolti nell'amore per la bella Ginevra, si inserisce una valigetta piena di soldi frutto di una tangente.
In realtà, l'opera non è solo una leggera storia d'amore, non mancano infatti riflessioni critiche relative alla situazione italiana contemporanea . C'è un personaggio il quale  durante una cena afferma che  in Italia niente funziona, abbiamo una classe politica che fa vomitare, ma nessuno si ribella perchè tutti amano la vita facile . Ginevra, bella quanto cinica, sembra essere la rappresentante più evidente di questo modo di affrontare il mondo, tanto da sacrificare la sua attrazione verso  Luca in favore del benessere economico incarnato da Mario . Luca invece è  l'idealista che vuole cambiare le cose, sogna un mondo fatto di buoni sentimenti e sacrificio per il prossimo  e perciò va a vivere in Africa per aiutare i più bisognosi. Mario invece si serve della medicina per aumentare il suo conto in banca e il suo prestigio sociale .In realtà, alla fine scopriremo che nulla è come sembrava.  Luca non è poi così idealista , anche lui, di fronte al potere del denaro sceglierà la vita facile. Mario non è poi così arrivista  in quanto si dedicherà con passione a curare i malati nel piccolo ospedale da campo africano . Ginevra non è così cinica, perchè alla fine si innamorerà appassionatamente  di Luca e verrà da lui abbandonata . Il film mescola da un lato  elementi della migliore tradizione della commedia all'italiana (da sottolineare l'ottima interpretazione di Pierfrancesco Favino e Stefano Accorsi) dall'altro elementi del film sociale e del thriller. Opera godibile, che gioca con i  generi cinematografici e li orchestra sapientemente con perizia superiore alla media.
  Mauro Peruzzo
 Trailer del film

venerdì 13 maggio 2011

Iside e Maria un'immagine per due dee

Iside o Isis o Isi (in lingua egiziana Aset cioè trono), originaria del Delta, è la dea della maternità e della fertilità nella mitologia egizia. Divinità in origine celeste, associata alla regalità, Iside era venerata spesso in associazione con il dio Serapide e fu una delle divinità più famose di tutto il bacino del Mar Mediterraneo.Dall’epoca tolemaica la venerazione per la dea, simbolo di sposa e madre e protettrice dei naviganti, si diffuse nel mondo ellenistico, fino a Roma. Da qui il suo culto, diventato misterico per i legami della dea con il mondo ultraterreno dilagò in tutto l’impero romano. Le sacerdotesse della dea vestivano solitamente in bianco e si adornavano di fiori; a Roma, probabilmente come conseguenza dell’ influenza del culto autoctono di Vesta, le fanciulle dedicavano talvolta la loro castità alla dea Iside. La decadenza nel Mediterraneo del culto di Iside fu per lo più determinata da nuove religioni misteriche quali lo Zoroastrismo e lo stesso Cristianesimo. Esistono tratti comuni molto evidenti nell’ iconografia relativa tra la raffigurazione della Madonna e quella pagana di Iside . E' ragionevole supporre che gia’ l’ arte paleocristiana si sia ispirata alla raffigurazione classica di Iside per rappresentare la figura di Maria, la comunanza in vari dipinti si ritrova per esempio nel tenere entrambe in braccio un infante, che è Gesù Bambino nel caso della Madonna ed Horus per Iside. E' un fatto che vari templi consacrati ad Iside siano stati riadattati e consacrati come basiliche dedicate alla Vergine, cosi’ come a volte modificati i dipinti e le opere raffiguranti la dea egiziana. Questo ha sicuramente aiutato l’ accomunarsi delle due figure a livello iconografico.Con il riconoscimento della Religione Cristiana da parte di Costantino quale unica dell’impero romano, nel IV secolo (391 d.C.), il “Sistema Cattolico Romano” si preoccupò di “incamerare” le popolazioni che professavano riti pagani, divenuti fuori legge, cercando di rendere “meno doloroso” il distacco dalle vecchie usanze. Per cui si trovò molto più semplice e meno traumatico, “battezzare” i vecchi riti dando loro una parvenza di cristianesimo che cercare di “convertire” le popolazioni pagane.  Difficile a livello iconografico stabilire una differenza tra l'immagine della dea pagana Iside e quella della Madonna cristiana.  Nel cristianesimo delle origini le due figure finiscono per sovrapporsi determinando un singolare corto circuito iconico. Secondo voi quali delle due immagini sopra raffigurate  rappresenta la Madonna e quale Iside?

mercoledì 11 maggio 2011

Recensione: Amore & altri rimedi di Edward Zwick


Regia: Edward ZwickCast Jake Gyllenhaal, Anne Hathaway, Oliver Platt, Hank Azaria, Josh Gad, Gabriel Macht, Judy Greer

L'amore ai tempi del Viagra. No, non è come pensate voi, i protagonisti di Amore & altri rimedi, una divertente commedia brillante di Edward Zwick, sono tutti giovanissimi e non hanno certo bisogno della celebre pillola blu. Maggie infatti è una giovane dal seducente spirito libero, refrattaria a qualsiasi legame amoroso, Jamie Randall, è un rampante rappresentante farmaceutico dal fascino irresistibile che sfrutta la sua capacità seduttiva sia nel mondo del lavoro, sia per le sue conquiste sentimentali. L'incontro tra i due porterà entrambi, con loro grande sorpresa , a sentirsi sotto l'effetto del farmaco più forte di tutti: l'amore.
Una commedia brillante , dunque, senza tante pretese e a tratti anche divertente. Si ride, ci si diverte , ci si emoziona in un dosato e controllato sfoggio di sentimenti. All'inizio la storia punta soprattutto sula spigliatezza, mettendo il personaggio principale, Jamie Randall, al centro di una mirabolante serie di avventure erotiche a ritmo quasi martellante, poi il clima si si fa più raccolto quando si introduce nella vicenda il tema dell'amore, infine, con l'apparire del Parkinson di lei , si indulge anche un po' alla commozione Prima, quindi ,la storia è solo erotica, poi diventa romantica, alla fine un po' patetica, ma tutto sempre nei giusti limiti, come conviene al carattere leggero della commedia brillante americana. Il tutto condito da una scaltra tecnica registica e da musiche e canzoni che sanno introdursi nel racconto per creare le atmosfere più consone.
Il film mette sotto i riflettori l’essenza stessa di un decennio, che in Italia purtroppo non si è ancora concluso, in cui si è creata ricchezza con la futilità. Negli anni Novanta la gente si è arricchita in maniera volgare grazie a cose che non servono a niente. C’è stata la bolla di internet dove si vendeva aria come fosse oro, e il boom Viagra, un medicinale inutile, che non cura nulla ma che è ancora la pasticca più venduta al mondo. La pillola blu si fa parabola quindi della futilità di quel mondo , soprattutto se rapportata all’assoluta inesistenza di cure per una malattia come il Parkinson, e colpisce lo spettatore come un pugno nello stomaco. Sentimento, commozione e divertimento ambientati dunque nell'America rampante degli anni Novanta quando i manager d'assalto , dopo ore di lavoro stressante si scoprivano soli e incapaci di amare e alla ricerca di orgasmi ottenuti in laboratorio grazie alla magia dei farmaci che riducevano in pillole, rigorosamente blu, il grande sogno americano. 
Mauro Peruzzo

mercoledì 4 maggio 2011

Recensione: Il cigno nero di Darren Aronofsky


Titolo originale: Black swan
Nazione: USA
Anno: 2010
Genere: drammatico, thriller
Durata: 1h43m
Regia: Darren Aronofsky
Sceneggiatura: Andres Heinz, Mark Heyman, John J. McLaughlin
Fotografia: Matthew Libatique
Musiche: Clint Mansell
Cast: Natalie Portman, Vincent Cassel, Mila Kunis, Barbara Hershey, Winona Ryder, Benjamin Millepied, Ksenia Solo, Kristina Anapau, Janet Montgomery, Sebastian Stan, Toby Hemingway, Sergio Torrado, Mark Margolis, Tina Sloan

Dopo the Wrestler Darren  Aronofsky, talentuoso regista neyorkese, si cimenta con il mondo del balletto ne Il cigno nero, un thriller psicologico ricco di effetti che mette in scena  le gelosie, le difficoltà e le gioie del  mondo del ballo . L'opera è stata a lungo candidata per un premio Oscar ad è  un incubo vissuto ad occhi aperti che ci trascina assieme alla  protagonista in un estenuante e devastante percorso dove realtà e sogno si sciolgono in un’antitetica entità. Nina è una ballerina professionista la cui vita è del tutto assorbita dalla danza e psicologicamente dominata dalla figura della madre, una ex ballerina che esercita su di lei un controllo soffocante. Quando il direttore artistico del teatro decide di rimpiazzare l'etoile per il balletto d'apertura della stagione: Il lago dei cigni, la sua scelta cade proprio su Nina la quale è perfetta per il ruolo del cigno bianco, aggraziato e innocente, ma troppo fredda e ossessiva per interpretare al parte del cigno nero, astuto e sensuale. Lily, invece , una ballerina del corpo di ballo del teatro, sebbene non sia tecnicamente molto dotata, ha tuttavia le caratteristiche emotive per incarnare tutti e due i personaggi. Nasce così una serrata competizione tra le due rivali che metterà Nina in contatto con il suo lato oscuro.
Il tema del film è evidentemente quello del doppio , lo scontro tra il cigno bianco e il cigno nero, tra Nina e Lily è nello stesso tempo uno scontro tra le due anime di Nina che si sente sempre più limitata dalle sue ossessioni di perfezione e dalla figura della madre. Sono parecchie le inquadrature nella pellicola che rimandano a questa idea grazie all'uso sapiente degli specchi che sdoppiano le immagini della protagonista in parecchie situazioni come, ad esempio, nel caso delle prove del balletto o del finestrino della metropolitana nel quale la figura della protagonista viene ricreata dalla sua immagine riflessa.
Per altri versi il film lascia molte questioni irrisolte . Aronofsky sceglie di approfondire in maniera privilegiata alcuni aspetti della vicenda trascurandone, a mio parere, altri. Concentra infatti l'attenzione dello spettatore sul risvolto erotico della storia. Nina è una ragazza ingenua, sessualmente repressa che ha trascurato i rapporti con l’altro sesso per troppo tempo, perdendo contatto con le emozioni, in una continua ricerca di estenuante perfezione personale. Tuttavia piuttosto irrisolto sembra il nodo del rapporto con la madre oppure i motivi che spingono la protagonista a grattarsi fino a provocarsi dolorose ferite . Nel film è presente una una fitta tela di citazioni cinematografiche tratte in particolar modo dall'opera di David Lynch, maestro nel costruire ossessive proiezioni visive delle ansie dei personaggi che inducono nello spettatore stati di terrore ansiogeno , ma sembrano chiari anche i riferimenti ad un certo cinema oscuro e psicologico di De Palma e Polanski.
Nulla di nuovo quindi. Un'opera che , per quanto godibile e ricca di effetti truculenti, è nel complesso abbastanza prevedibile nel suo svolgimento tematico anche se senza dubbio molto coinvolgente per lo spettatore. Insomma, per citare le parole scritte da Lietta Tornabuoni su La Stampa del 2 settembre 2010 : “un pasticcio, ma niente affatto male”.
Mauro Peruzzo

domenica 1 maggio 2011

RACCONTO: IL MELO


C'era una volta, una foresta incantata, piena di alberi e alberelli, di animaletti che ci vivevano da molto tempo e altri di appena nati. C'erano gli scoiattoli che si arrampicavano sugli alberi, ​le talpe che scavavano nel terreno per costruire le loro tane, i pesci e le anatre che nuotavano nel laghetto e stormi di uccellini che volavano sopra la foresta cantando e facendo compagnia agli altri animali del bosco. Al centro della foresta c'era un melo maestoso, aveva un tronco massiccio e grande con radici ampie e robuste, aveva una chioma rigogliosa con foglie di un verde brillante. Era colmo di mele rosse, polpose, succulente e molto molto invitanti. Era talmente grande e ricco di frutti che ogni giorno tutti gli animali del bosco andavano ad assaggiare le mele. Come sempre dopo aver morso o picchiettato le mele, uccellini scoiattoli e altri ancora, si guardavano tra di loro meravigliati e in coro esclamavano un grande: "Mmmmm!". "Com'è buona questa frutta" diceva lo scoiattolo. "Possiamo mangiarne a volontà" diceva il coniglietto alzando lo sguardo e vedendo la folta chioma del melo che si trovava sopra di lui. Così passavano le giornate, gli animaletti vivevano tranquilli nella foresta e il melo era sempre rigoglioso.
Arrivò l'inverno, gli animaletti si prepararono al grande gelo che ogni anno costava una gran fatica per loro perchè dovevano riuscire a raccogliere provviste per cibarsi e il materiale sufficiente per costruirsi un riparo confortevole per quel periodo. Ogni animaletto era pronto, come ogni anno tutti si aiutavano, viveri ce n'erano a sufficienza, il melo iniziava a scolorire. Le giornate non erano ancora gelate e gli animaletti giocavano ancora fino a che un giorno arrivarono due grandi uccellacci neri che si posarono sul melo. Gli animaletti, turbati, si nascosero dietro alla quercia di un albero vicino e osservarono in silenzio guardandosi preoccupati. Ad un certo punto uno di loro esclamò: "Venite fuori animaletti del bosco!". Gli animali si guardarono attoniti e complottarono sotto voce, dopo di che lo scoiattolo più grande avanzò, i due uccellacci e lo scoiattolo si scambiarono sguardi di sfida e, dopo poco, uno dei due esclamò:"vogliamo trasferirci noi qui, lascerete questo bosco e vi troverete un altro luogo in cui stare altrimenti...". Lo scoiattolo spaventato, girò la testa e guardò i suoi compagni che lo incitarono... "Altrimenti?" chiese con la voce spezzata dalla paura . L'altro rispose con voce ferma:"Altrimenti distruggeremo tutto ciò che si trova qui intorno a voi...a partire dal grande Melo " Lo scoiattolo si chiedeva perchè desiderassero il loro territorio. A questa domanda ottenne subito una risposta :"voi disponete di ogni ben di dio avete il cibo di tutta la foresta, ma specialmente i frutti del grande Melo che sono rari e speciali, avete l'acqua limpida del ruscello che scende dalla montagna, avete grandi nidi sugli alberi, avete posti all'ombra per quando vi sentite accaldati, posti al sole per riscaldarvi, avete tutto. Posti così non se ne trovano." Il secondo proseguì:"Tutti gli animali della foresta a fianco soffrono per questo, l'inverno sta arrivando e luoghi sicuri non ne hanno. è arrivato il momento che voi ve ne andiate." Gli animali si guardarono perplessi. Quella foresta non volevano lasciarla.
Arrivò un giorno un boscaiolo che passava di lì. Era amico degli animali e a sentire il loro racconto, si intenerì e diede loro saggi consigli. Diede allo scoiattolo più grande un compito, costruire piccoli rifugi confortevoli, recuperare più frutti per l'inverno .All'arrivo dei due uccellacci pronti a distruggere il bosco, gli scoiattoli trovarono altri rifugi, altre provviste e il più grande di loro esclamò "ora siamo un' unica famiglia, la foresta è grande, il melo produce frutti per tantissimi animali, con l'aiuto di tutti, faremo di questo bosco un rifugio confortevole e affidabile per tutti." La neve scese e la foresta divenne bianca.
Sara Viasanti