lunedì 17 ottobre 2011

This must be the place di Paolo Sorrentino

“Questo deve essere il posto” potrebbe essere una delle espressioni che un viaggiatore pronuncia con il naso in aria e atteggiamento contemplativo quando arriva in un luogo sconosciuto del quale ha solamente sentito tanto parlare. L’estraneo in questo caso è il regista Paolo Sorrentino e il luogo, l’America. This must be the place è infatti l'ultima opera del regista napoletano, il titolo  richiama alla mente   una vecchia canzone dei Talking Heads, non a caso David Byrne compare in una delle scene dell'opera  . Protagonista è Cheyenne, un ex rockstar che vive in ritiro a Dublino, ha una cinquantina d'anni e la risatina da castrato, si mette il rossetto rosso , ha una chioma tinta di nero corvino che si soffia costantemente via dalla faccia, almeno nella prima metà del film, indossa piccoli occhialetti con montatura nera da miope, ha un cane con sgradevole collare, un amico ciccione broker gran seduttore e una giovane amica dark depressa. Cheyenne non sembra contento di questa sua vita da pensionato annoiato che sta in riposo prima di aver raggiunto l'età della pensione , è triste e spesso di malumore . C'è bisogno di una scossa che cali il personaggio nel mare dell'umanità. Questa scossa arriva quando a casa sua giunge la notizia che il padre sta morendo. Cheyenne così  parte per gli Stati Uniti, dove incontra parenti che non vedeva da 30 anni e dove un cugino gli rivela che il padre negli ultimi anni di vita era ossessionato dalla ricerca di un aguzzino di 95 anni che ad Auschwitz gli aveva dato tormento. Perciò Cheyenne decide di partire lui stesso alla ricerca di questo fantomatico aguzzino nazista. Ha inizio così un viaggio attraverso l'America che ci porta a percorrere autostrade assolate e a frequentare polverosi motels, secondo lo schema tipico dei road movies. In particolare , il film di Sorrentino sembra ricalcare  certe pellicole di Wim Wenders come Paris Texas dove il regista tedesco  descrive con sapienza di immagini  l'America provinciale dei grandi ed epici paesaggi lunari. Tuttavia l'America vista attraverso gli occhi di Sorrentino, al di là della bellezza di molte inquadrature,  è , in fin dei conti , una sequela di facili curiosità che colpirebbero l'attenzione di un europeo medio in gita turistica. Quello che alla fine della pellicola manca è l'emozione. Scordatevi un momento di verità nel rapporto mentale tra Cheyenne e quel padre che sembra non averlo mai amato, scordatevi di vedere la rockstar compiere un viaggio interiore alla ricerca delle proprie radici e del proprio io. Gran parte dell'opera si regge infatti sull'interpretazione di un bravissimo Sean Penn , senza di lui il film non avrebbe cuore. Penn è straordinario nel disegnare, un personaggio che potrebbe ad ogni inquadratura dissolversi nel grottesco o nella caricatura. Un uomo che fa di tutto per essere riconosciuto e, al contempo, nega con tutti la propria identità. Alla fine la caccia al nazista, il padre internato, l'olocausto sembrano essere solo dei trucchi, dei pretesti messi lì molto cinicamente per fare spettacolo e tutto il senso dell'opera si risolve nel messaggio un po' scontato che è presente nell'inquadratura finale, vale a dire : “Togliti la maschera, Cheyenne! Diventa Tony!”.