lunedì 7 maggio 2012

Recensione: Hunger di Steve MCQueen

Dopo quattro anni dalla sua uscita è finalmente arrivato nelle sale italiane il film d'esordio di Steve McQueen Hunger. Si può comprendere la diffidenza dei distributori italiani che probabilmente non ritengono il pubblico del nostro paese maturo al punto tale da poter apprezzare un'opera del genere, si può comprende, ma non certo giustificare, visto il successo che ha mietuto il film in tutte le sale d'Europa, i premi che ha vinto  e considerato l'alto livello registico che questa opera prima esprime. Siamo in Irlanda del Nord nel 1981. Il Primo Ministro Margaret Thatcher ha abolito lo statuto speciale di prigioniero politico e considera ogni carcerato paramilitare della resistenza irlandese alla stregua di un criminale comune. I detenuti appartenenti all'IRA danno perciò il via, nella prigione di Maze, allo sciopero “della coperta” e a quello dell'igiene, cui segue una dura repressione da parte delle forze dell'ordine. Il primo marzo, Bobby Sands, leader del movimento, decreta allora l'inizio di uno sciopero totale della fame, che lo condurrà alla morte, insieme a nove compagni, all'età di 27 anni .Questa è in breve la trama dell'opera , detto questo tuttavia non si è ancora detto niente, perchè il film, che vuol essere indubbiamente un'opera di denuncia politica e sociale , non ha certo nella trama il suo punto qualificante quanto nell'uso violento e dirompente dell'immagine. Steve McQueen ha con l'immagine un rapporto estremamente fisico, che qui porta all'estremo, dal fisico al fisiologico, poiché le armi della contestazioni dei detenuti sono dapprima i rifiuti del corpo e poi il corpo stesso. Così si vedono I corridoi del carcere di Maze invasi dall'urina, le mura delle celle imbrattate di escrementi fino ad arrivare alle ultime scene in cui con lentezza struggente  il corpo di Bobby Sand  si consuma e si copre di piaghe  a causa dello sciopero della fame  . Tutto  è girato rinunciando volutamente ai criteri della spettacolarità tipici del cinema, nulla infatti viene concesso al divertimento o alla furbizia narrativa per rendere la storia più appetibile al grande pubblico. La scena centrale è , per esempio, un piano sequenza di 20 minuti circa in cui Bobby Sand rivela a un religioso la sua intenzione di fare dello sciopero della fame come arma estrema  per combattere contro i soprusi inglesi. Per tutto questo tempo la macchina da presa rimane immobile mentre i due protagonisti dialogano , allo spettatore è possibile seguire le parole ma non certo vedere le facce dei due personaggi  che sono riprese nella loro parte in ombra. Anche la scelta di rinunciare a una vera e propria colona sonora si muove nel solco dell'antispettacolarità. Il film è così ricco di silenzi lunghi, snervanti  riempiti solo dall'efficacia delle immagini scavate dei primi piani dei carcerati o dei loro aguzzini o da quelle dei muri della cella imbrattati di sudiciume. Questo modo di fare e concepire il l'opera ricorda da vicino la lezione di un grande maestro del cinema del silenzio, Robert Bresson . Non si può infatti non ricordare vedendo questo film, quello straordinario capolavoro che è Un condannato a morte è fuggito. Come Bresson McQueen scarnifica le immagini, le riduce all'essenziale, priva i corpi dalle protezioni della pelle, del muscoli, del grasso. Un film straordinario, dirompente, tagliente come un bisturi che non fa sconti a niente e a nessuno. Un grande esordio.
Mauro