giovedì 27 dicembre 2012

Schegge di paura


Era una nuvolosa e grigia giornata d’autunno. Mi dirigevo come al mio solito al bar per una cioccolata calda e fumante di quelle che solo Maria, la proprietaria del bar, sapeva fare. Il vento ululava un’inquietante canzone e le foglie cadevano lasciando gli alberi spogli. Il viale che percorrevo era triste e malinconico, una malinconia che si rifletteva su di me. Non c’era la solita gioia che incontravo per le strade, nessun uomo che conoscessi con cui fermarmi a fare due chiacchiere. Vedendo un’aiuola nella quale i fiori non erano ancora appassiti, mi venne alla mente che avevo promesso a mia moglie un mazzo di rose rosse e profumate, per festeggiare il suo compleanno. Svoltai al primo angolo e notai che una strana ombra mi seguiva. Guardai con la coda dell’occhio e vidi un individuo sospetto, sulla sessantina d’anni. Era alto e robusto, la carnagione era pallida e lattea. Nella sua faccia ovale si leggeva lo sguardo di qualcuno convinto nelle proprie idee. I suoi occhi erano acuti, il suo naso era aquilino e piccolo, la bocca dura che non cambiava mai espressione. Non riuscivo a vedere come fossero i capelli dato che l’individuo descritto portava un cappello a bombetta nero. Indossava un lungo cappotto di pelle, delle scarpe di vernice nere con poco tacco, quando camminava si sentiva un piccolo rumore. Sembrava che il suo aspetto si adattasse perfettamente a quella giornata. La sua mano sinistra si trovava dentro la tasca laterale del capotto e toccava qualcosa. Nonostante il tipo non mi fosse indifferente, continuai a camminare diritto per la mia strada.
Entrai nel negozio dove mi accolse una ragazza tra i venti e i trent’anni, alta e mora, con gli occhi azzurri, le labbra carnose e un sorriso rassicurante. La malinconia e la solitudine di quel giorno grigio e opaco sparirono. Chiesi un mazzo di rose e la ragazza senza esitare me le diede. Uscii dal negozio e all’improvviso tutta la felicità, la gioia sparirono, come quando stai sognando qualcosa di bello e ad un certo punto, di soprassalto, ti svegli con tanto rammarico. Ripercorsi la strada e finalmente arrivai al bar di Maria. Mi salutò lamentandosi, come era suo solito, sul mal tempo che era di passaggio in quei giorni. Conoscevo da molto tempo Maria eravamo grandi amici. Ella era di statura media e di corporatura esile. Aveva il viso allungato, gli occhi sognanti e aveva delle piccole mani con le quali sapeva fare ogni tipo di pasto. La ricordo ancora quando molto tempo fa faceva i biscotti, ora con l’arrivo dell’industrializzazione cominciò anche lei a comprarli al supermercato locale. Per prima cosa si metteva un grembiulino bianco come la neve con dei ricami di pizzo, sopra il suo vestito rosso e incominciava con estrema facilità a impastare la farina morbida sul vecchio tavolo da cucina. In pochi minuti erano pronti i dolci da mettere nel forno caldo quando il profumo si espandeva nell’aria tutti i bambini del paese, io compreso, correvamo nel bar lasciando i nostri giochi. Mi sedetti e cominciai a sorseggiare la mia cioccolata calda leggendo il giornale che, come al solito, non raccontava niente di interessante. Appena presi la tazza per bere guardai nel tavolo di fianco e vidi quell’individuo sconosciuto. Mi si raffreddarono tutte la vene in corpo e cercai, senza farmi notare, di far finta di niente. Chi era questo strano individuo? Cosa voleva da me? Pensai subito se gli avevo fatto qualcosa ma non mi venne in mente niente. Stava sorseggiando una tazza di caffè e cercava di nascondersi con il giornale. Appena terminai di bere la cioccolata, mi alzai, andai a pagare e mi diressi fuori dal locale. Nessuno si trovava dietro di me, e questa era una cosa molto rassicurante. Ma parlai troppo in fretta perché appena mi girai, quella figura era a una ventina di passi da me. Mi affrettai e, mentre stavo per attraversare le strisce pedonali, una gelida mano mi toccò la schiena. Con molta cautela mi girai e trovai l’uomo. Con grandissimo stupore mi accorsi che era Luigi un caro e vecchio amico delle elementari. Lo salutai e tutta l’ansia sparì. D’altronde lui me lo aveva sempre detto che ero un tipo pauroso.
Chiara Bonato

martedì 25 dicembre 2012

Quell'individuo sospetto


Uffa  è appena finito l'allenamento. Oggi il mister era veramente irritato e ci ha fatto fare il doppio degli esercizi. Penso che potrei dormire per una settimana intera senza nemmeno svegliarmi. Ora torno a casa e mi addormento sul letto, senza nemmeno cenare. Sono le sette di sera di una lunga e faticosa giornata di novembre: stamattina verifica di matematica e interrogazione di storia, tornato a casa mamma si è arrabbiata perché il cane ha pisciato sul letto e, ovviamente, è come se io  avessi pisciato e quindi ho dovuto levare tutte le lenzuola, coperte e i  copri letti e sbatterli in lavatrice, che me li ha restituiti di un giallo fluorescente perché avevo sbagliato detersivo; poi parto per andare all'allenamento e arrivato in palestra scopro di aver perso il portafoglio. La giornata peggiore della mia vita! Sarei stato pronto a scommettere che peggio di così non sarebbe potuto andare, ma ricordandomi tutti i film in cui i personaggi facevano il mio stesso ragionamento e poi si metteva a piovere, era meglio tacere. Ci mancava solamente la pioggia a peggiorare la giornata! Ottocento metri mi separavano dal mio amato letto. Mi stavo letteralmente addormentando in piedi e decisi di percorrere l'isolata stradina più breve ma che mai attraversavo. 
Davanti a un diroccato negozietto di lettura della mano, magia e cartomanzia gestito da una certa "Madame Sasal" si trovava una figura nera e immobile. Indossava un lungo cappotto nero che le arrivava fino alle ginocchia, coperte da una lunghe veste anch'essa nera. Le scarpe erano impossibili anche solo da intravedere perché nascoste dalla veste. Le gambe erano dritte, immobili anche se sotto quella veste era difficile determinarne la corporatura. Le mani erano nella tasca del cappotto. Un grande cappuccio nero le copriva il volto. Quando mi notò, si girò di scatto dalla mia parte e il vento le tolse il cappuccio: era una donna dai tipici lineamenti latini, dalla pelle color nocciola e dai lunghi e scomposti capelli neri. La cosa che più mi colpì però furono gli occhi, tenebrosi e crudeli, bianchi , quasi senza pupilla. Guardandoli una sensazione di sconforto e sottomissione mi invase: mi sembrava di essere inutile, una monotona pedina nel grande tabellone chiamato Terra. Chi ero io, dopotutto? Un ragazzino insignificante! Come potevo io competere con quei magici occhi maledetti che mi stavano scrutando? La bocca della donna, rosso sangue, pronunciò una parola ma non riuscì a percepirla, ma mi accorsi che il mio corpo non mi rispondeva più. Mi stavo avvicinando sempre di più alla donna, ora riuscivo a percepire il suo profumo di rosa rossa. Più mi avvicinavo più tratti di lei riuscivo a intendere: avrà avuto una trentina d'anni ed era snella. Stava lentamente estraendo la mano dalla tasca e intravidi le sue mani, piccole e delicate ma allo stesso tempo malvagie e assassine e le unghie lunghe e affilate dello stesso colore rosso sangue delle labbra. Vidi che la sua mano destra stringeva un manico di qualcosa. Finalmente capì, ciò che aveva in mano era un coltello. Volevo scappare, ritornarmene a casa ma non ci riuscivo; il corpo non rispondeva, non potevo fuggire! Improvvisamente un rumore ruppe quel maledetto silenzio. La donna distolse lo sguardo da me e guardò precipitosa una stradina che portava ad una vecchi fabbrica abbandonata, dalle assi cadenti e dalla porta cadente. Le finestre erano distrutte, i vetri vittima probabilmente di qualche sparatoria. La donna corse verso l'edificio e finalmente potevo pensare da me e usare il mio corpo. Raccolsi la sacca da ginnastica caduta e corsi a casa, con il pensiero che finalmente avrei potuto coricarmi nel mio letto odoroso di pipì e con le coperte fluorescenti. 

Niccolò Rossi

venerdì 21 dicembre 2012

UN’ASSOLATA GIORNATA ESTIVA





Era luglio ed io ero in vacanza con la mia famiglia a Roseto degli Abruzzi. Quella mattina mi ero svegliata presto perché avevo voglia di andare in spiaggia da sola. Fortunatamente l’appartamento che avevamo affittato era molto vicino al mare quindi non ci misi molto a raggiungere la mia meta. Arrivai al mio ombrellone solo dopo averlo cercato per cinque minuti buoni. Era lo stesso ombrellone che usavamo già da una settimana eppure non riuscivo mai a trovarlo. Sistemai l’asciugamano sul lettino da sole e mi sdraiai. Per un istante rimasi immobile e mi guardai attorno. Vedevo il mare, così immenso, un’enorme distesa di sola acqua. Osservai attentamente l’orizzonte, quella sottile linea che divide il cielo dal mare. Quella sottile linea che per me separa la realtà dai sogni. Quella sottile linea che avevo voglia di raggiungere, ma era impossibile quindi smisi di fantasticare. Poi chiusi gli occhi e provai invece a concentrarmi sui suoni che potevo cogliere. Non sentivo nulla. La spiaggia a quell'ora era deserta, dopotutto erano le sei di mattina. Eppure a me piaceva quel silenzio, mi piaceva stare da sola . Ascoltavo il verso dei gabbiani che volavano alti nel cielo ed erano in spiaggia certamente da più tempo di me, il rumore delle onde. Quanto era bello. Era così tranquillizzante. Mi misi ad ascoltarlo e lentamente mi addormentai. 
Mi svegliai due ore dopo quando ormai i miei genitori e purtroppo anche il mio adorato fratellino erano arrivati. E lì terminava il mio momento di tranquillità. Mio fratello incominciò a stressarmi chiedendomi di andare a fare il bagno, mia madre insisteva perché mi mettessi la crema solare e mio padre si lamentava perché voleva il mio lettino da sole. Non ce la facevo più. Presi e me ne andai. Nessuno si preoccupò di seguirmi. Incominciai a camminare lungo la riva, dove riuscivo a bagnarmi i piedi con l’acqua. A un certo punto mi ritrovai davanti ad un castello di sabbia bellissimo, costruito forse il giorno prima e forse troppo vicino all'acqua. Non feci in tempo ad avvicinarmi che un’onda più forte delle altre lo sommerse distruggendolo. Mi accorsi che c’era un bambino che piangeva vicino al castello, o più che altro quel che ne restava. Mi dispiaceva. Avrei voluto aiutarlo. Poi però arrivò sua madre che, dopo avergli asciugato le lacrime, lo aiutò a ricostruire il castello. È così purtroppo. Le cose belle non durano per sempre. Niente dura per sempre. Quando pensi di essere riuscito a realizzare i tuoi progetti e di essere felice arriva la delusione però puoi stare certo che poi arriva anche qualcuno pronto ad aiutarti a ricominciare. 
Ormai si era fatto tardi ed era ora di tornare in dietro. Stavo per incamminarmi quando mi accorsi che il sole stava tramontando. Guardando quello spettacolo magnifico non so perché mi sentii sollevata da ogni problema. Mi sentii finalmente felice e in pace con me stessa. 

Alessia Framba

sabato 8 dicembre 2012

Ripasso ed esercizi di analisi logica




Per chi voglia ripassare i principali complementi dell'analisi logica ed esercitarsi in vista del compito è disponibile un file con esercitazioni di analisi logica ed esercizi di ripasso da scaricare .