venerdì 21 settembre 2012



Mi sono interessato di recente all'opera di Umberto Galimberti e vorrei esporne i principali contenuti in quanto ritengo che le sue riflessioni relative al rapporto tra scienza , tecnica e morale siano in grado di farci capire meglio il modo in cui viviamo  e ci permettano di conservare nei suoi confronti  un approccio critico e attivo e non supinamente e ideologicamente passivo. Nelle sue opere Galimberti sostiene che nelle condizioni attuali l’uomo non è più al centro dell’universo come intendeva l’età umanistica: tutti i concetti chiave della filosofia (individuo, identità, libertà, salvezza, verità) dovranno essere riconsiderati in funzione della società tecnologica attuale. 
Infatti la tecnica è secondo il filosofo il tratto comune e caratteristico dell’occidente. La tecnica è il luogo della razionalità assoluta, in cui non c’è spazio per le passioni o le pulsioni, è quindi il luogo specifico in cui la funzionalità e l’organizzazione guidano l’azione. 
Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica è diventata l’ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità (burocrazia, efficienza, organizzazione) che non esitano a subordinare le esigenze proprie dell’uomo . Tuttavia ancora non ci rendiamo conto che il rapporto uomo-tecnica si sia capovolto, e per questo ci comportiamo ancora come l’uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona e basta. 
Il punto cruciale sta nel fatto che tutto ciò che finora ci ha guidato nella storia (sensazioni, percezioni, sentimenti) risulta inadeguato nel nuovo scenario. Come"analfabeti emotivi" assistiamo all'irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità dell'organizzazione tecnica, priva ormai di qualunque senso riconoscibile. Non abbiamo i mezzi intellettuali per comprendere la nostra posizione nel cosmo, per questo motivo ci adattiamo sempre di più all'apparato e ci adagiamo sulle comodità che la tecnica ci offre. 
Inadeguato non è solo il nostro modo di pensare, inadeguata è anche l’etica tradizionale le diverse etiche classiche, infatti, ponevano l’uomo al centro dell’azione Ma oggi questo è smentito dai fatti . L’uomo è ciò di cui la tecnica si serve per funzionare. La scienza , da quando è al servizio della tecnica e del suo procedere, non è più al servizio dell’uomo, piuttosto è l’uomo al servizio della tecno-scienza. L’etica tradizionale , di fronte a questo nuovo scenario diventa pat-etica e celebra tutta la sua impotenza. Oggi siamo senza un’etica che sia efficace per controllare lo sviluppo della tecnica che, come è noto, non tende ad altro scopo che non sia il proprio potenziamento. 
Tutto nella nostra vita quotidiana rientra nel sistema tecnico, qualsiasi azione o gesto l’uomo compie ha bisogno del sostegno di questo apparato. Ormai viviamo infatti all'interno di un paradosso , se l’uomo vuole salvare se steso e il pianeta dalle conseguenze del predominio della tecnica (inquinamento, terrorismo, povertà, etc.) lo può fare solo con l’aiuto della tecnica: progettando depuratori per le fabbriche, cibi confezionati, grattacieli antiaerei e così via. Il circolo è vizioso e uscirne, se non impossibile, sembra improbabile, visto soprattutto la tendenza delle società occidentali. In questo senso va recuperato il valore umanistico della scienza: la scienza al servizio dell’umanità e non al servizio della tecnica. 
Il valore più profondo del pensiero di Galimberti consiste, appunto,in questo tentativo di fondare una nuova filosofia che ci consenta, se non di dominare la tecnica, almeno di evitare di essere da questa dominati.

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