sabato 31 dicembre 2011

Recensione: Io sono Li di Andrea Segre

Io sono Li è uno di quei film la cui visione ripaga per intero il costo del biglietto e in periodo di feste e svaghi natalizi e di capodanno aggiunge alle nostre vacanze spensierate una nota di lieta e amara riflessione. Dispiace solo che opere di giovani registi italiani di questa qualità vengano relegati in orario tardo da ultimo spettacolo e che nella sala ci siano poche persone , mentre la massa degli spettatori preferisce riversarsi a godere film girati sicuramente con budget e supporto pubblicitario di maggior spessore , ma molte volte di dubbio gusto. 
Io sono Li è l'ultima fatica del regista padovano Andrea Segre , è stato proiettato all'ultima edizione della Mostra cinematografica di Venezia raccogliendo numerosi apprezzamenti. L'opera si avvale di un cast di attori veramente affiatati: dalla bravissima Zhao Tao fino a Rade Sherbedgia, Marco Paolini e Giuseppe Battiston. Protagonista della storia è Shun Li, una giovane ragazza cinese che confeziona quaranta camicie al giorno per pagare il debito e i documenti che le permetteranno di riabbracciare suo figlio. Impiegata presso un laboratorio tessile, viene trasferita dalla periferia di Roma a Chioggia dove è incaricata di fare la barista dell'osteria ‘Paradiso', qui Shun Li impara l'italiano e gli italiani. Malinconica e piena di grazia trova amicizia e solidarietà in Bepi, un pescatore slavo da trent'anni a bagno nella Laguna. Poeta e gentiluomo, Bepi è profondamente commosso dalla sensibilità della donna di cui avverte lo struggimento per quel figlio e quella sua terra lontana. La loro intesa non sfugge agli sguardi limitati della provincia e delle rispettive comunità, che mettono bruscamente fine alla loro sentimentale corrispondenza. "Io sono Li" è un punto di sintesi del mio percorso registico nell’ambito del cinema-documentario" ha dichiarato il giovane regista padovano . E’ un racconto nato dal ricordo di una donna cinese che lavorava in una tipica osteria veneta: "Il ricordo di questo volto di donna così estraneo e straniero in questi luoghi ricoperti dalla patina del tempo e dall'abitudine, non mi ha mai lasciato". Un film quindi sull'incontro di due persone che, per quanto provengano da culture e da mondi diversi, scoprono di essere accomunate dalla solitudine del vivere. Shun Li e Bepi si accorgono che il paesaggio della laguna veneta, in fin dei conti, assomiglia incredibilmente al paesaggio del mare della Cina e che i pescatori cinesi usano le stesse tecniche di pesca usate nella laguna . Io sono Li non è solo quindi un'affermazione di esistenza, ma anche la storia della ricerca di una identità perduta e mai dimenticata. La ricerca di Shun Li che aspetta con ansia l'arrivo del figlio dalla Cina ; la ricerca di Bepi, il vecchio pescatore di Pola che vive la sua estraneità rispetto a un figlio che vorrebbe tutelarlo ma finisce involontariamente per ucciderlo. Al di là della tematica esistenziale, tuttavia l'opera propone alla riflessione anche un discorso sociale mai scontato e banale su tematiche di attualità quali l'integrazione e il riconoscimento del diverso. Il tutto ambientato in una terra come il Veneto che ha alle spalle una storia secolare di integrazione della diversità , ma che in questi anni si è distinta per uno sviluppo economico esasperato ed egoistico incarnato nel film dal personaggio di Davis che pensa solo ed esclusivamente ai “schei” e non è in grado nè di educare suo figlio, nè  di capire la discrezione e la sottile amicizia che intercorre nel rapporto di Bepi con la ragazza cinese. 
Nel film forse si respira l'aria di un Veneto antico, fatto di osterie di “ombre” bevute insieme al tavolo mentre si gioca una partita di carte, di chiacchiere e piccoli scherzi camerateschi, ma forse quel Veneto era portatore dei valori di solidarietà e amicizia che si sono sbiaditi ai giorni nostri e che  raramente si possono trovare nei rampanti centri commerciali che sorgono nelle città dell'entroterra. Questo sottile filo di malinconica nostalgia , sfumato nelle sottili nebbie della laguna, percorre tutta l'opera che mantiene sempre salda la barra di uno stile che si disimpegna tra il racconto e le migliori qualità documentaristiche . Viene facile fare dei raffronti con la grande tradizione neorealistica del cinema italiano, con i personaggi di "Roma città aperta" o con  i pescatori de “La terra trema” di Luchino Visconti , d'altronde in questi anni stiamo assistendo  nel migliore cinema italiano a un bisogno sorgivo di recupero di quel senso della realtà  che si era smarrito dopo decenni ubriacature edonistiche e consumistiche. Lo stile scarno e quasi documentaristico di questa opera non fa eccezione , stile esaltato dalla registrazione in presa diretta e dalla scelta del regista di lasciare parlare i personaggi nella loro lingua d'origine e nei loro dialetti, preferendo i sottotitoli a un pessimo doppiaggio in lingua italiana 
"Io sono Li" insomma è una storia dolce e amara, senza lieto fine, ma in cui, nonostante tutto, vive una forte speranza per il futuro. 

Giudizio: Assolutamente da vedere


lunedì 19 dicembre 2011

Recensione: The Artist di Michel Hazanavicius

2011, nell' era dei film a 3 D , nell'epoca in cui la tecnologia digitale trionfa sugli schermi e rende i films sempre più spettacolari e ricchi di effetti speciali , un regista francese, Michel Hazanavicius, porta sullo schermo non un film sul cinema muto ma addirittura un film ‘muto' in bianco e nero, e girato con cura e attenzione alle caratteristiche proprie di quel tipo di linguaggio.
Si potrebbe subito pensare a un'operazione da filologi o da cinefili un'operazione nostalgia che tende a rivolgersi a un ristretto pubblico di cultori e appassionati, o alla solita operazione dichiaratamente postmoderna fredda e cerebrale che si compiace nella rievocazione delle tecniche del passato, in realtà The Artist non è nulla di tutto questo. La pellicola infatti non ha nulla del calligrafismo o dell’esibita perfezione del metacinema o della freddezza del film d'autore quando si fa troppo cerebrale, l’arte pulsa, il cuore batte emozioni eterne e non importa se non le udiamo dalla voce dei protagonisti , le sentiamo ugualmente . The Artist è infatti un film nel quale si ride , ci si diverte, ci si commuove, un film anacronisticamente moderno, e magico. Una storia d’amore d’altri tempi, o di tutti i tempi, raccontata solo attraverso l'incanto delle immagini, senza la contaminazione delle parole.
Protagonista è George Valentin (Jean Dujardin) un divo del cinema muto all'apice del successo che conosce tuttavia l'altra faccia della celebrità . Infatti negli anni '30, con il sopraggiungere della la Grande Depressione, e soprattutto con l'avvento del sonoro, la sua vivace espressività da attore del muto sembra non interessare più a nessuno. Il suo orgoglio unito alla depressione lo faranno sprofondare in una crisi esistenziale senza via d'uscita. Nel frattempo, Peppy Miller (Bérénice Bejo), una giovane e briosa ragazza conosciuta per caso da Valentin da semplice ballerina, grazie proprio all'avvento del sonoro, si sta trasformando in una star di primo livello, Valentin caduto in disgrazia economica e umana sprofonda in una terribile spirale di autodistruzione che si concretizza nella magnifica scena in cui cerca di uccidersi dando fuoco alle pellicole che aveva gelosamente conservato nella sua casa, infatti nel suo incrollabile orgoglio non può lasciare che quella ragazza lo salvi dalla presunta miseria che lo attende. Tuttavia,alla fine della storia, sarà proprio Peppy con la sincerità dei suoi sentimenti a rimettere in corsa la carriera professionale e umana di Valentin.
The Artist doveva essere un film per pochi intimi, e invece, a sorpresa, sembra essere un film davvero per tutti, un film in cui la magia del muto si compie ancora una volta grazie alla la bacchetta sapiente dell'artista. Già inserito in extremis nel Concorso di Cannes e premiato, potrebbe agevolmente inserirsi in palmares ai prossimi Oscar. E' la dimostrazione che quel che conta nel cinema, non sono tanto gli effetti speciali o i grandi divi, quanto avere una storia da raccontare e saperlo fare con pazienza e maestria. Il ritmo serrato della narrazione , che non ha mai un momento di stanchezza , i bravi interpreti e l'ottima regia, senza sbavature, fanno di questa opera un racconto universale davvero capace di entrare negli occhi e nel cuore del grande pubblico . Pur sciorinando con una certa divertita nonchalance e tutta una serie di elementi propri di un linguaggio anacronistico , l'opera si rivela una vera sorpresa con il suo voler parlare ad un platea altra, puntando sulla leggerezza dei toni della commedia nella sua veste più pura,  con una spigliatezza ed un entusiasmo senza pari. Assolutamente da non perdere.



lunedì 12 dicembre 2011

Recensione: Midnight in Paris di Woody Allen

Cosa potrebbe succedere se improvvisamente i nostri sogni diventassero realtà? Se i miti letterari della nostra giovinezza si presentassero davanti a noi in carne ed ossa e noi potessimo parlare con loro di letteratura di arte ma anche e soprattutto di vita? E' ciò che accade a Gil , protagonista dell'ultimo film di Woody Allen, Midnight in Paris. Gill, irrinunciabile alter ego di Allen, a seguito di una vacanza a Parigi si trova a desiderare così intensamente di rivivere la straordinaria atmosfera della Parigi anni 20 che lui ha conosciuto attraverso i libri e visto nei quadri e nei film dell'epoca , che , in maniera del tutto inaspettata, finisce per abbandonare il suo presente e per ritrovarsi a una festa con Scott Fitzgerald , a bere con Hemingway, a far leggere il suo tribolato romanzo a Gertrude Stein, a innamorarsi della musa di Picasso e a disquisire della paradossale situazione che vive con i surrealisti Dalì, Man Ray e Bunuel . Così facendo, saltando avanti e indietro nel tempo, realizza gradualmente tutte le insoddisfazioni professionali e sentimentali del suo presente e ritrova se stesso e la sua vera personalità . 
Certo, non c'è nulla di nuovo rispetto alle opere precedenti, Allen sembra sempre un po' fare il verso a se stesso, ma rispetto alla deludente prova di Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni ritrova lo smalto che sembrava perduto. Il film è da un lato una presa di coscienza della necessità di fuggire dal presente per rifugiarsi in un mondo di emozioni fantastiche e idealizzate, dall'altro , è presente la costante consapevolezza che non si può in alcun modo sfuggire alle necessità che il mondo ci impone . Allen si esercita, lungo tutta l'opera in un raffinato esercizio di stile, ricco di citazioni, evidenti sono quelle tratte da Bella di Giorno di Bunuel , opera che fornisce un po' l'intelaiatura di questo sogno ad occhi aperti che Gil vive insieme allo spettatore. Come nei films di Bunuel infatti, anche in Allen, realtà e sogno , immaginazione e presente finiscono per fondersi in un tutto inscindibile . Nella Parigi degli anni Venti Gil trova tutto quel che desidera, e per questo nei suoi ritorni alla realtà trova la forza e il coraggio per vedere quel che negava: un rapporto insoddisfacente con la sua fidanzata, un tradimento chiaro ma ignorato troppo a lungo , il suo progressivo sottomettersi ai voleri della bella Adriana nel nome di un pragmatismo borghese che risulta essere alla lunga triste e insopportabile. In una scena del film Allen fa dire a Gertrude Stein che l'artista non è colui che fugge, ma colui che con la sua opera cerca di dare senso e speranza di fronte all'insensatezza dell'esistenza. Forse questa è la conclusione a cui ci vuole portarci nel suo gioco narrativo il regista . La realtà non è un sogno, ma sognare aiuta a vivere.

martedì 29 novembre 2011

Recensione: Anche se è amore non si vede


Anche se è amore non si vede è un toccasana del buonumore e nello stesso tempo una scanzonata commedia sulla difficoltà dei rapporti uomo donna. Ambientato a Torino a bordo di uno scalcagnato pullman turistico ha come protagonisti Salvo e Valentino, due inseparabili amici che gestiscono una piccola agenzia turistica del capoluogo piemontese, aiutati da Natascha e da Gisella. E mentre Cupido si diverte a far danni nelle vite dei quattro protagonisti, i due amici cercheranno di mettere ordine nelle proprie faccende sentimentali. I protagonisti in meno di due ore si innamorano , si amano, si tradiscono c’è perfino un matrimonio con tanto di fuochi d’artificio. Qualche battuta azzeccata punzecchia l’Italia ma anche gli stranieri che non sanno far altro che criticarci. A chiudere il ciclo comico ci pensa un crescendo di gag che sfocia in un finale tra schiaffoni e scazzottate .Per la prima volta Ficarra e Picone si dirigono da soli, il film infatti è ricco di citazioni dalla storia del cinema. Dalla scena del bacio con la macchina da presa che, alla Hitchcock, ruota intorno ai due innamorati alle scazzottate finali nel più puro stile slapstick commedy. Nel complesso siamo di fronte a una brillante commedia degli equivoci che ha il pregio, non così scontato in questi tempi, di far divertire senza essere volgare. Il film dà certamente il meglio di sé quando Ficarra e Picone salgono in cattedra,potremmo dire che nasce e si sviluppa per esaltare le figure dei due comici palermitani , così come avvenuto, per esempio, in film come Qualunquemente di Albanese  o Che bella giornata di Checco Zalone. Insomma, sono gli interpreti a servizio della narrazione e non viceversa. La coppia dei due comici comunque funziona alla perfezione supportata da una notevole interpretazione di Ambra Angiolini e non importa se il film è un po' troppo zuccheroso e pieno di buoni sentimenti, se la trama è un po' scontata e fiacca, quello che conta e che ci fa passare due ore di puro spensierato divertimento. 


mercoledì 23 novembre 2011

Anestesia totale di Marco Travaglio

Il teatro civile sbarca a Padova . Venerdì 25 novembre al Gran Teatro Geox, alle ore 21 si terrà lo spettacolo Anestesia totale, sottotitolo «Il primo spettacolo (poco spettacolare) del dopo-B.». La prova teatrale mette a nudo, nelle intenzioni degli autori, il conformismo e l’incapacità degli italiani di indignarsi ancora di fronte ai fatti politici del nostro Paese. Marco Travaglio e Isabella Ferrari, impegnata a leggere alcune riflessioni di Indro Montanelli, offrono dunque un «antidoto» contro i sintomi di questa anestesia pervasiva e un energico input per risvegliare la coscienza degli spettatori. Eh sì... un’autentica «Anestesia totale»: è come se l’espediente della sospensione dell’incredulità fosse stata pratica comune di vita e pensiero per un intero popolo. Solo a partire da questo paradosso, secondo Travaglio, sono pensabili quei 17 anni che separano l’anno della «discesa in campo» dall'oggi che fa dire al giornalista torinese «finalmente è (quasi) finita».
Lo stesso Travaglio spiega così lo spettacolo: «Berlusconi non lo nomino mai. Cerco di capire il suo sistema, nel quale chi vince prende tutto, non governa ma comanda, sceglie i controllori, i giornalisti, che non devono porre domande... Descrivo come funziona la macchina della manipolazione. Ma accanto a questi momenti bui, che racconto io, ci sono sprazzi di luce affidati alla voce di Isabella Ferrari, che legge alcuni brani di Indro Montanelli e fa ascoltare la bellezza della sua prosa. Si sente cos’era il giornalismo, quando esisteva nella sua massima espressione».

giovedì 17 novembre 2011

Recensione: Drive di Nicolas Winding Refn

Seguendo la scia dei migliori film d'azione americani, Drive,del regista danese Nicolas Winding Refn , è un concentrato di adrenalina e di citazioni cinematografiche allo stato puro. Non è difficile credere che tra qualche anno questo film potrà essere considerato un cult movie. Refn infatti abbina sapientemente le risorse tipiche del genere con una raffinata conoscenza della macchina da presa e della storia del cinema creando un prodotto ricco di citazioni cinematografiche che ha le stigmate del film postmoderno. Alcune scene sono in effetti da antologia tra tutte quella dell'ascensore o quella dell'inseguimento che apre la pellicola e ci introduce nel mondo a cavallo tra legalità e illegalità del protagonista del racconto. Quando il biondino, protagonista della storia, si mette al volante c'è da prepararsi al peggio, il ragazzo dalla faccia angelica e dai nervi d'acciaio è un freddo pilota ma rivela anche una insospettabile  violenza selvaggia. Il film infatti è diviso in due parti, la prima tutta corse e speranza, la seconda invece dominata dalla violenza più cieca,  entrambe sottolineate da una colonna sonora musicale di tutto rispetto in cui l'elettronica degli anni Ottanta la fa da padrone . Drive è uno di quei titoli che si fanno prendere sul serio sia che si cerchi il piacere dello spettacolo sia che si pretenda la coerenza della eterna metafora della lotta dell'individuo per la propria sopravvivenza. L'ottima accoglienza ricevuta all'ultimo festival del cinema di Cannes , dove la pellicola si è aggiudicata il premio per la miglior regia testimonia la qualità di un film che pur lavorando con il materiale tipico del cinema di genere noir hollywoodiano se ne distanzia per l'abilità registica e per il giusto mix di intimismo e azione criminale , sarà poi il futuro a dirci se il regista danese è solo un impeccabile manierista o se ha un mondo interiore da esprimere.

lunedì 14 novembre 2011

Recensione: E' questa l'ora...

“Cara mamma, io godo di ottima salute, sta tranquilla, cerca di mandarmi il sacco alpino, maglione bianco, camicia di lana, pantaloni a sport e un po' di denaro” Sono le ultime parole che si possono leggere nel diario di Lino Camonico, partigiano e martire del Grappa pubblicato con il con il titolo di “E' questa l'ora...” grazie al lavoro di ricerca storica e alla cura di Francesco Tessarolo. Nato a Bassano nel 1923, dopo aver frequentato il Reale Liceo Ginnasio Brocchi,Camonico si era iscritto alla facoltà di medicina dell'Università di Padova quando la tragedia della guerra si impose con violenza nella sua vita come in quella di molti altri ragazzi di allora . Nei mesi che vanno dall'ottobre del 1943 al giugno dell'anno successivo, Lino notò scrupolosamente in un diario i fatti che successero in quel periodo nel bassanese.Leggere oggi queste pagine fa senza dubbio un certo effetto, ci si trova di fronte uno spaccato della vita di Bassano di quegli anni tristi e bui della guerra. Anni di sospetti, paure, delazioni, ma anche di grandi spinte ideali e di sacrifici personali .Fin dalle prime pagine emerge il clima di sospetto e di diffidenza che aleggiava in quel periodo «Le spie fasciste ti hanno denunciato al comando tedesco . Con questo annuncio i ragazzi mi accolgono al caffè.» scrive Lino in data 7 ottobre 1943. Infatti la prima attività di Lino in seno al movimento antifascista consiste nel diffondere giornali clandestini impregnati di propaganda contro il regime e contro i tedeschi, portare vestiti e viveri ai partigiani che già sono in montagna, un lavoro oscuro , ma importante ,fatto in silenzio e con discrezione cercando di eludere la vigilanza e l'attenzione delle spie e dei delatori. Tuttavia lottare per la giustizia e la libertà non è facile nella Bassano dell'epoca. Tra i momenti più problematici da affrontare per questi giovani partigiani c'è l'opposizione alla chiamata alle armi fatta dalla Repubblica di Salò «Nei primi giorni - scrive Camonico - pochissimi si presentarono, per lo più fascistoni fanatici. Dopo, la resistenza passiva diminuì e il numero delle reclute si ingrossò. Infine si misero in giro i carabinieri e le camicie nere che ponevano il dilemma: "o il ragazzo si presenta o vengono arrestati i genitori". Di fronte alla minaccia della fucilazione, anche Lino cede e decide di presentarsi al distretto militare dove, tuttavia, viene riformato e così è libero di muoversi, senza timore di essere catturato. Non manca nel diario la presenza di una figura femminile torbidamente centrale nella vicenda di Lino . Nora Licia Naldi, una sua coetanea di origine bolognese, la quale , dopo aver soggiornato per un periodo a casa Camonico, diventerà l'amante del tenente Alfredo Perillo, figura rilevante del nazifascismo bassanese e si trasformerà in una delle più solerti ed implacabili inquisitrici e delatrici della città. Nel giugno del 1944, saputo dell'arresto di alcuni suoi amici, Lino decide di andare in montagna dove assume il nome di battaglia di Medoro . Qui si occupa soprattutto di curare i compagni feriti fino ai giorni del rastrellamento, del Grappa.
L'epilogo della vicenda è quello tragico che ha visto tra le vie di Bassano, impiccati, i martiri della resistenza. Di Lino Camonico ci restano tuttavia le parole che scrisse nel suo diario nel novembre del 1943: «Di tanto in tanto, tolgo lo sguardo dalla pagina e mi metto a pensare. Penso al mondo migliore che sorgerà dal sangue e dalle rovine di questa guerra, agli uomini migliori affratellati dal vincolo comune di giustizia e di libertà».

venerdì 4 novembre 2011

Fright night. Il vampiro della porta accanto


Fedele allo spirito dell'originale Ammazavampiri di Tom Holland (1985) questo remake diretto da Craig Gillespie si lascia vedere con piacere azzeccando il giusto mix tra risata e tensione. Nessuna presunzione di voler lanciare messaggi impegnati o di toccare le coscienze con profonde meditazioni sull'uomo e sul suo destino, ma la coscienza a posto di chi vuole solo intrattenere. Quindi pazienza se la storia, lo sviluppo e l'esito sono piuttosto scontati, d'altronde non di sola originalità vive il cinema . Questa saga vampiresca è ambientata in una minuscola e anonima cittadina del Nevada, vicino a Las Vegas. Charlie è un ragazzo fortunato, ha una splendida ragazza , una buona famiglia alle spalle e a scuola è molto popolare. Ma le cose iniziano a cambiare quando nella casa accanto alla sua andrà ad abitare una strana persona che sembra essere in tutto e per tutto simile a un vampiro. Charlie scopre infatti che di notte miete vittime tra gli abitanti del vicinato e decide di fermarlo. Lo spettatore viene coinvolto così in un gioco d'ansia frenetica e strozzafiato. Fright Night, il vampiro della porta accanto è una gustosa commedia horror che sa tenere lo spettatore in ansia per gran parte del tempo ma  riesce anche a far sorridere e divertire , inoltre, cosa più unica che rara, è un remake che , senza molte pretese, riesce a non far rimpiangere l'originale

lunedì 17 ottobre 2011

This must be the place di Paolo Sorrentino

“Questo deve essere il posto” potrebbe essere una delle espressioni che un viaggiatore pronuncia con il naso in aria e atteggiamento contemplativo quando arriva in un luogo sconosciuto del quale ha solamente sentito tanto parlare. L’estraneo in questo caso è il regista Paolo Sorrentino e il luogo, l’America. This must be the place è infatti l'ultima opera del regista napoletano, il titolo  richiama alla mente   una vecchia canzone dei Talking Heads, non a caso David Byrne compare in una delle scene dell'opera  . Protagonista è Cheyenne, un ex rockstar che vive in ritiro a Dublino, ha una cinquantina d'anni e la risatina da castrato, si mette il rossetto rosso , ha una chioma tinta di nero corvino che si soffia costantemente via dalla faccia, almeno nella prima metà del film, indossa piccoli occhialetti con montatura nera da miope, ha un cane con sgradevole collare, un amico ciccione broker gran seduttore e una giovane amica dark depressa. Cheyenne non sembra contento di questa sua vita da pensionato annoiato che sta in riposo prima di aver raggiunto l'età della pensione , è triste e spesso di malumore . C'è bisogno di una scossa che cali il personaggio nel mare dell'umanità. Questa scossa arriva quando a casa sua giunge la notizia che il padre sta morendo. Cheyenne così  parte per gli Stati Uniti, dove incontra parenti che non vedeva da 30 anni e dove un cugino gli rivela che il padre negli ultimi anni di vita era ossessionato dalla ricerca di un aguzzino di 95 anni che ad Auschwitz gli aveva dato tormento. Perciò Cheyenne decide di partire lui stesso alla ricerca di questo fantomatico aguzzino nazista. Ha inizio così un viaggio attraverso l'America che ci porta a percorrere autostrade assolate e a frequentare polverosi motels, secondo lo schema tipico dei road movies. In particolare , il film di Sorrentino sembra ricalcare  certe pellicole di Wim Wenders come Paris Texas dove il regista tedesco  descrive con sapienza di immagini  l'America provinciale dei grandi ed epici paesaggi lunari. Tuttavia l'America vista attraverso gli occhi di Sorrentino, al di là della bellezza di molte inquadrature,  è , in fin dei conti , una sequela di facili curiosità che colpirebbero l'attenzione di un europeo medio in gita turistica. Quello che alla fine della pellicola manca è l'emozione. Scordatevi un momento di verità nel rapporto mentale tra Cheyenne e quel padre che sembra non averlo mai amato, scordatevi di vedere la rockstar compiere un viaggio interiore alla ricerca delle proprie radici e del proprio io. Gran parte dell'opera si regge infatti sull'interpretazione di un bravissimo Sean Penn , senza di lui il film non avrebbe cuore. Penn è straordinario nel disegnare, un personaggio che potrebbe ad ogni inquadratura dissolversi nel grottesco o nella caricatura. Un uomo che fa di tutto per essere riconosciuto e, al contempo, nega con tutti la propria identità. Alla fine la caccia al nazista, il padre internato, l'olocausto sembrano essere solo dei trucchi, dei pretesti messi lì molto cinicamente per fare spettacolo e tutto il senso dell'opera si risolve nel messaggio un po' scontato che è presente nell'inquadratura finale, vale a dire : “Togliti la maschera, Cheyenne! Diventa Tony!”.


mercoledì 28 settembre 2011

Recensione: Per sempre di Susanna Tamaro

“Se il mio libro ha fatto piangere significa che ha provocato un'emozione forte al lettore. Far piangere, per un libro è una bellissima emozione". Lo ha affermato Susanna Tamaro, scrittrice che al Salone Internazionale del Libro ha presentato il suo ultimo romanzo Per sempre. Infatti si piange molto leggendo questo  romanzo . Si piange perché è una storia struggente una storia d’amore e di dolore, di vita e morte, che scorre come un  racconto  d’appendice con molti colpi di scena, molte tragedie . Chi scrive e parla in prima persona è Matteo, un ex cardiologo che vive sulla montagna come un Robinson Crusoe, solitario e selvaggio, coltiva la terra con le sue mani, piantando zucchine, togliendo le erbacce che invadono le rovine del suo casale. Vive murato in una cattedrale di granito, senza porte né finestre, prigioniero del gelo, sordo, e oscuro vuoto che gli si è calcificato intorno dopo una disgrazia . Nora , sua moglie, è morta in un incidente stradale assieme a suo figlio ma Matteo non sa ancora capire se si è trattato  davvero di un incidente o invece piuttosto di un suicidio. Via via che si dischiude l’introspezione di Matteo cresce lo sgomento per l’assenza di Nora, amata, rincorsa, corteggiata e perduta. Matteo finisce così nel baratro dell’alcool, perde il lavoro, si nega alla rigenerazione possibile, rifugge dalla vita e dall’amore, maltratta e ferisce un angelo romeno che vorrebbe redimerlo. Lunga è la via per ritrovare se stesso: deve prima crollare l’ultima impalcatura che l’opprime, il vecchio padre cieco che muore su una panchina di Ancona, lasciando al figlio una lettera memorabile. 
La morte è  un argomento centrale del libro . Mettere la morte come cardine della nostra vita ci aiuta a parlare del mistero della vita stessa. Il senso di precarietà deve nutrire le nostre giornate: permette di evitare i dolori inutili e sciocchi che infliggiamo agli altri. Insomma la ricetta per sconfiggere il senso di morte che ci assale è una sola: l'amore. Seguendo le vicende del protagonista, si finisce per ripercorrere anche la propria vita a meditare sulle proprie vicende e sul proprio modo di vedere il mondo. È un libro meditativo ma insieme concreto. La storia di un amore impossibile. Alla fine Matteo scoprirà  finalmente il suo destino. “È necessario perdersi per ritrovarsi”.

giovedì 15 settembre 2011

Recensioni per le vacanze: la solitudine dei numeri primi

La solitudine dei numeri primi, è la storia di due ragazzi, Alice e Mattia, segnati irrimediabilmente da un trauma: lei da una caduta sugli sci che l'ha resa zoppa, lui da una sorta di colpevolezza per la  morte della sorella. L'autore, inizialmente racconta le vicende dei due personaggi separatamente in capitoli dedicati prima a uno poi all'altra per poi arrivare alla conoscenza tra i due giovani e dunque le vicende vissute dai personaggi saranno intrecciate nei singoli capitoli.
Alice è una ragazza timida e triste che si sente inferiore rispetto alle compagne, odia il proprio corpo e odia il cibo, infatti dopo e durante l'adolescenza si ridurrà all'anoressia.
Mattia invece, segnato dalla morte della gemella , non riesce a trovare pace ed è masochista, introverso, trova inutile tutto ciò che è irrazionale ,o cioè che non è spiegabile in modo “scientifico”, è un piccolo genio della matematica e il suo unico rifugio è lo studio.
Le vicende sono raccontate per mezzo di molti artifici narrativi come le analessi o gli epiloghi narrativi. I due personaggi si incontreranno al liceo e in seguito ad una festa organizzata dall'amica\nemica di Alice, Viola Bai. Da questo breve incontro scaturirà un'amicizia, un'amicizia strana, presente ma invisibile. I due ragazzi infatti continueranno ad essere attratti l'uno dall'altra per anni ,ma non riusciranno mai ad instaurare un rapporto che superi l'amicizia soprattutto a causa dell'insicurezza di Mattia il quale, spaventato dall'irrazionalità non parlerà mai molto di sé e dei suoi sentimenti all'amica e sarà succube dei sogni di Alice. Questa amicizia si spezzerà apparentemente quando Mattia partirà per l'Inghilterra per lavoro e quando, in seguito, Alice si sposerà con Fabio (un dottore che aveva conosciuto precedentemente). Ma dopo alcuni anni Alice si renderà conto dell'errore commesso “lasciando scappare” Mattia in Inghilterra e deciderà di chiamarlo. Mattia risponderà prontamente tornando a casa e sembrerà esserci uno spiraglio di serenità che però terminerà presto con il ritorno in Inghilterra di Mattia.
Il finale lascia  il lettore un po' amareggiato o con il fiato sospeso perchè nulla viene risolto e ci sono molti misteri piccoli o grandi  che rimangono insoluti . Io personalmente sono rimasto un po' amareggiato, perchè ho avuto la sensazione che l'autore volesse terminare in fretta e furia il romanzo. Un aspetto che non mi è piaciuto del libro è la sofferenza collettiva, infatti,come si può notare tutti i personaggi ,protagonisti e non, soffrono per qualche motivo. Un aspetto che,invece, mi ha positivamente colpito è la scorrevolezza dello stile e l'essenzialità del romanzo che permettono una lettura molto veloce e non noiosa nonostante il numero non indifferente di pagine. Inoltre trovo intrigante il titolo  perchè ci suggerisce che per mezzo della matematica , quindi della razionalità più pura, si può spiegare  una cosa così irrazionale come un rapporto di amicizia di due ragazzi.
Voglio consigliare questo libro a tutti ma con la premessa di non aspettarsi nessun lieto fine ma bensì  un libro coinvolgente ma molto triste. 
 Alessandro Marcolin

giovedì 8 settembre 2011

Recensioni per le vacanze: l'eleganza del riccio


  L'eleganza del riccio è un romanzo scritto da Muriel Barbery e pubblicato da Gallimard, è una raffinata commedia francese diventata il caso letterario del 2007 in Francia, ha venduto tantissime copie, fino a vincere il Premio dei Librai assegnatogli dalle librerie. L'autrice è nata nel 1969 a Bayeux, ma insegna filosofia all'IUFM di Sant-Lô.
Nell'opera si narra una storia inserita in un contesto molto particolare ma a sua volta monotono: siamo a Parigi, in un lussuoso palazzo, abitato da parecchie famiglie, tutte simili per i modi cortesi, per la ricchezza e per la loro convinzione di essere meglio degli altri. In mezzo a tutto questo insieme di persone che vivono allo stesso modo e che non sanno apprezzare le piccole cose, troviamo Paloma, una bambina di quasi tredici anni, molto colta per la sua età, che al contrario di tutto e di tutti ha deciso di suicidarsi per l'esattezza nel giorno del suo tredicesimo compleanno ( il 16 giugno), perché stanca di vivere senza un vero motivo e scopo per cui farlo. Fino a quel fatidico giorno però Paloma continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre e così facendo nasconde a tutti la sua stanchezza di vivere e la sua continua ricerca di una persona che la possa capire, quindi a lei simile. Tutta questa vita lussuosa, di alta borghesia, viene vista ed ammirata anche dalla portinaia Renée che sembra nata e destinata a fare la portinaia: il suo fisico è da vera portinaia, grassa, buffa e il suo carattere pure, riservata, scorbutica, dipendente dalla televisione e dal cibo. La sua vita sembra ancora più monotona di quella dei borghesi sotto cui lei sta a servizio, invece all'insaputa di tutti è una persona molto colta, è appassionata di Arte, di lettura, di cinema, di filosofia, di musica e sopratutto di cultura giapponese. Così mentre tutto scorre e il suicidio di Paloma si avvicina sempre più, nel palazzo compare un nuovo abitante: monsieur Ozu, un ricco e colto signore giapponese, che farà unire Paloma e Renée, che pur essendo molto diverse e appartenenti a due classi sociali differenti, riescono a capire che sono l'una il completamento dell'altra.
L'autrice credo e penso che con questo racconto voglia far capire che bisogna guardare e cercare sempre l'essenzialità nelle cose, tutto si riassume in questa domanda: dove si trova la bellezza? Nelle grandi cose che, come le altre, sono destinate a morire, oppure nelle piccole che senza nessuna pretesa sanno incastonare nell'attimo una gemma di infinito? Questa è la domanda a cui Renée e Paloma rispondono dicendo che le piccole cose sono sempre le migliori, si possono fare con poco, ma rappresentano tanto; così grazie a tante piccole cose, questi due personaggi in incognito sono accomunati da uno sguardo ironicamente disincantato che si incontrerà e farà finire la vicenda con la morte di una delle due, ma la rinascita morale e il ritrovo della voglia di vivere dell'altra. Quello che mi ha colpito è sicuramente la delicatezza con cui è stato scritto il romanzo e la considerazione di Paloma: se il mondo è un'illusione, significa che basta un piccolo sfasamento per rovinare per sempre la possibilità della perfezione e allora lei si chiede: che senso ha vivere? Per fortuna lei lo ha trovato e noi tutti lo abbiamo trovato? Questo è il vero enigma della nostra esistenza.
Chiara Cerato









lunedì 5 settembre 2011

Recensioni per le vacanze: Il professionista




  Questo romanzo è una vera e propria lettera d'amore che John Grisham manda verso l’Italia. L’autore l'autore riesce infatti a descrivere gli scenari del Bel Paese come nemmeno un italiano stesso saprebbe fare. Ogni riga porta il lettore verso un’affascinante visita di Parma e dell’intera nazione tra monumenti, sculture, paesaggi e cucina. E' in questo luogo descritto con passione dall'autore che si sviluppa la trama del romanzo: una trama coinvolgente e ricca di emozioni. Rick Dockery, ex promessa del football americano è un quarterback che non è mai riuscito a trovare la spinta necessaria per diventare un grande giocatore. La sua carriera sembra ormai avviata verso una dignitosa mediocrità, finché una sera, entrato in campo sul netto vantaggio della propria squadra, Rick riesce a rovinare la partita, e la propria vita, con quella che sarà descritta da tutti i media come la peggior performance nella storia del football professionistico. Rick si sveglia in un letto d'ospedale, la sua squadra lo ha già licenziato. Giocare a football è però l'unico mestiere che Rick conosce, e per questo prega il proprio agente di trovargli, un ingaggio qualsiasi che lo aiuti a superare la crisi. Dopo una disperata ricerca,Arnie, il suo agente, gli trova un posto in Italia, nella squadra dei Panthers Parma. Rick non sapeva nemmeno che in Italia il football fosse praticato e non ha nemmeno la più vaga idea di dove Parma si trovi. Tuttavia parte, deciso a superare questo momento di sciagura e tornare in America non appena gli sarà possibile. Qui Rick trova però degli amici, un amore e la riscoperta gioia di giocare. Questo romanzo mi è piaciuto particolarmente, non solo per il fatto che sono un appassionato di sport, il tema dell'amicizia è quello che mi ha attratto di più. Il modo in cui i Panthers accolgono Rick nella loro squadra, il fatto che si ritrovino dopo l'allenamento a bere tutti una birra in compagnia cantando e scherzando è veramente bello. Ma la cosa che mi ha colpito di più in questo libro è la passione che ogni giocatore dei Panthers ci mette per vincere la partita. Loro non vengono pagati ma la grande passione per il football li porta ad allenarsi la sera tardi dopo il lavoro e ad affrontare lunghe trasferte la domenica per vincere il modesto Super Bowl italiano pur sapendo che la loro impresa non verrà mai ricordata dai media e dalla maggior parte della popolazione che non sa nemmeno cosa sia il football americano.
Leonardo Serafin

venerdì 2 settembre 2011

Recensioni per le vacanze: Io non ho paura


1978, Acque Traverse. Chissà perchè poi la chiamano Acque Traverse quando l'unico specchio d'acqua che rimane in quel luogo sperduto nelle campagne è una grande pozzanghera piena di fango dal colore nero catrame! Quello che importa però al protagonista di questo romanzo, Michele Amitrano di nove anni, è giocare con il suo piccolo gruppo di amici del paese in serenità. Questa tranquillità finisce quando un giorno, l'allegro gruppetto, decide di fare una gara di corsa con arrivo in una piccola valle vicino a una collinetta del paesello. Finita la gara i ragazzi  si riposano all'ombra e scoprono che in quella minuscola valle c'è una casetta in rovina. Come penitenza per aver perso la gara, a Michele tocca percorrere tutta la casa, di due piani, di corsa, senza schiattare di paura. Alla fine della prova nel retro della casa, il ragazzino scopre una buca, coperta da un materasso, che nasconde quella che a Michele sembra una gamba umana.
I giorni successivi il bimbo ritorna continuamente alla casa, combattendo contro la paura e le punizioni dei genitori arrabbiati per le sue marachelle. Alla fine , per una serie di coincidenze, scopre un segreto; un  segreto che non avrebbe mai dovuto sapere e capisce che il ritorno improvviso del padre camionista non è casuale e che il signor Sergio, anziano romano che si è stabilito ospite in casa sua da pochi giorni, non è il solito vecchietto dolce. Io non ho paura è una storia di un'amicizia forte, così forte che legherà i protagonisti oltre l'immaginabile; così improvvisa e solida che comprometterà un piano criminale.
Lo stile del autore è molto scorrevole e semplice, come semplice e rude è lo stato sociale dei protagonisti, contadini campagnoli. La vicenda viene narrata attraversi  gli occhi di un bambino, dal  carattere tanto tenace e saggio, quanto irresponsabile e impulsivo, ma che, alla fine,  scopre quanto dura sia la realtà, tanto diversa dai suoi giochi infantili che dovrà abbandonare  con tanta tristezza.
La povertà e l'ignoranza dei protagonisti viene descritta anche attraverso i vari contrasti del paesaggio, il sole caldo e il grano maturo a cui si oppongono  il buco e la valle nascosti dall'ombra. Un romanzo che parla di delinquenza, ma anche di quel  grande valore umano che è l'amicizia, la quale contrasta qualsiasi cosa anche il crimine, e che dona al protagonista un immenso coraggio, che  darà alla storia un finale inusuale e inaspettato.
Consiglio la lettura di questo romanzo a tutti i coraggiosi, a quelli che non hanno paura di andare contro, a chi ama far vincere la sincerità e il bene. Lo consiglio anche a tutti i giusti che troveranno nella personalità di Michele il loro animo, il quale in qualunque situazione complicata o felice che sia penserà: “No, io non ho paura!”
Michela Cocco

venerdì 26 agosto 2011

Graffiti art (parte seconda)

Il grande ritorno d'interesse nei confronti di artisti dei graffiti si deve allo strabiliante sviluppo sociale del fenomeno nel corso degli anni '90: il graffitismo sbarca in Europa per poi dilagare velocemente negli altri continenti, prosperando energicamente in ogni angolo del pianeta e rivelandosi come fenomeno sociale e culturale di massa. Si delinea in questi anni la nuova tendenza stilistica del graffiti-logo: artisti sostituiscono le scritte enigmatiche con decorazioni figurative, veri e propri personaggi o illustrazioni di oggetti, che vengono riprodotti in modo seriale sui muri delle città. La tendenza graffiti-logo evolverà velocemente nelle prime esperienze di Street art, termine con il quale oggi si definisce qualsiasi gesto artistico compiuto in spazi pubblici. I primi ad accorgersi dell'enorme potenziale economico di questa cultura sono i pubblicitari e gli studi grafici: molti Street artists si formano come grafici, avvantaggiati rispetto ai colleghi dall'aver sperimentato e maturato linguaggi visivi nuovi, forti e impattanti. Il loro modo si impone nella pubblicità e diventa di moda.
La Street art è da sempre accomunata ai graffiti, ma a differenza del writing , non è vincolata all'uso di spray e allo studio del lettering. Si riscontra anche una diversità di tematiche, in quanto la street art è basata su un pensiero più sociale e politico, e tende a creare un dialogo con le persone e ad analizzare ideali o fantasie intimistiche dell'artista. In alcuni casi inoltre, la Street Art non distrugge o copre l'ambiente preesistente, ma lo integra con installazioni.
L'interesse pubblico per questa "arte di strada" è esploso intorno al 2000, grazie anche agli stencil di Banksy. Nonostante la fama ormai mondiale, è inspiegabile come questo artista sia riuscito a mantenere l'anonimato. Di certo si sa solo che è originario di Bristol, città dove appaiono i suoi primi lavori. Il primo contatto tra Banksy e i graffiti avviene nel 1995. Le opere di Banksy sono quasi sempre a sfondo satirico, incentrate su temi come la politica, l'etica e la guerra. Molto spesso i suoi lavori denunciano le multinazionali e le industrie. L'artista predilige la tecnica dello Stencil. Il messaggio solitamente espresso è anti-militarista, anti-capitalistico, anti-istituzionale. I suoi lavori di provocazione urbana, lo hanno reso un’artista ormai famoso non solo nell’ambiente underground. Sono ormai famosi in tutto il mondo i suoi Stencil di Rats (topi). Il soggetto dei topi è stato scelto in quanto odiati, cacciati e perseguitati, eppure capaci di mettere in ginocchio intere civiltà, identificazione tra rats e writers. Nonostante la sua fama ormai mondiale e il pieno riconoscimento dei suoi lavori come opere d'arte, uno dei suoi più famosi murales, è stato recentemente rimosso: il suo valore stimato si aggirava intorno ai 400 mila euro. Questo fatto, dimostra come ancora la nostra società non sia pronta ad accettare quella che può essere a tutti gli effetti considerata l'arte del presente prima di definire un oggetto "bello" bisogna accettarne le caratteristiche linguistiche, per questo ciò che è nuovo e quindi non ancora presente nell'immaginario collettivo, non viene ritenuto esteticamente positivo.
Shepard Fairey, più conosciuto come Obey, ci propone delle immagini dallo stile urbano che si contraddistinguono dalla massa per i riferimenti alle icone più famose e per le tecniche svariate che utilizza: dallo stencil alla pittura, dagli sticker al collage. Ma è soprattutto l’esercizio visivo e intellettuale estremamente raffinato e pieno di humour alla base della sua ricerca che ha intrigato e provocato più di un passante e  oggi suscita non pochi interessi nell’ambito della critica e del collezionismo più attento. Affascinante e brillante Obey ci spiega, in maniera appassionata, come l’obiettivo della sua ricerca artistica è condurre la gente ‘prima a pensare e poi a reagire’, non il contrario, come spesso è accaduto.
Lo street artist Space Invader inizia la sua opera a Parigi nel 1998 dando origine ad un progetto artistico su "scala globale". L'artista realizza dei piccoli mosaici utilizzando piccole piastrelle colorate che riprendono le forme degli alieni presenti nel videogioco.  I mosaici vengono realizzati in laboratorio dopodiché Space invader li porta con sé e una volta scelta la città si munisce di mappa ed impiega almeno una settimana per collocarli. I luoghi nei quali vengono collocati questi mosaici non sono casuali ma sono scelti in base a diversi criteri tra cui l'estetica, la posizione strategica, la bassa o alta frequentazione di persone. A Montpellier per esempio la collocazione dei mosaici è stata scelta in modo tale da formare l'immagine gigantesca di un invasore spaziale una volta riportate sulla mappa la posizione delle singole installazioni.

mercoledì 24 agosto 2011

Un fenomeno chiamato Graffiti Art (parte prima)

Parliamo oggi di Graffiti, molti ritengono ancora che imbrattare i muri con disegni o scritte sia da considerarsi un imperdonabile atto di vandalismo. In molti casi questo può essere vero, ma bisogna tener presente che scrivere sui muri della città è un'abitudine antica come l'uomo, considerato che sono state trovate scritte anche sui muri di Pompei ,e comunque si deve prestare attenzione a questi fenomeni di cultura urbana perchè ne possono scaturire movimenti artistici di notevole interesse. E' il caso, per esempio, della  Graffiti Art. La Graffiti Art inizia negli Stati Uniti e in particolar modo nella città di  Philadelphia in Pennsylvania verso la fine degli anni 60, tuttavia il movimento si trasferisce molto presto a New York dove nomi e soprannomi dei graffitisti iniziarono ad apparire sugli edifici , sulle cassette delle poste , sui vagoni delle metropolitane . Nel 1971 , per la prima volta, uno dei più grandi quotidiani del mondo il New York Times, dedicò un articolo a un graffitista che si firmava con il nome di TAKI 183 , utilizzando il numero civico della strada in cui viveva. Nessun writer tra l'inizio degli anni settanta e la fine degli ottanta, avrebbe definito la propria attività come artistica. Writer, scrittori, era questa la definizione che usavano per loro stessi tutti quei ragazzi neri, portoricani o semplicemente newyorkesi che accettarono la sfida di scegliere un nome di fantasia (una firma, tag) e di scriverlo con uno stile migliore degli altri tanto spesso da cambiare il volto della città. Per diversi anni il fenomeno rimase confinato a quella stretta cerchia di adepti . Il mondo dei writer infatti è sempre stato molto  autoreferenziale: lo stile delle lettere ornate da facce e da sbarre evolvette presto verso l'illeggibilità, così barocco da risultare comprensibile solo agli altri writer. Si trattava di una intera sottocultura che girava intorno al culto del nome , all'occupazione dello spazio pubblico come mezzo per attirare l'attenzione , alla competizione tra writer basata su parametri assolutamente non artistici come la quantità, la dimensione dei pezzi, la ripetitività ossessiva della propria firma e da ultimo il possesso di uno stile personale. Il mercato dell'arte proprio in quegli anni era assetato di novità e i graffiti rappresentavano a pieno titolo la controcultura, il prodotto delle classi sociali disagiate con pochi mezzi ma una energia dirompente, era difficile perciò non notarli. Il 15 settembre 1973 un gruppo costituito da un centinaio di writer tra cui Phase2, Mico, Coco 144, Flint 707, Bama, Snake, guidati dal sociologo Hugo Martinez tenne la sua prima mostra alla Razor Gallery. Tutti i lavori furono venduti tra i 300 e i 3000 dollari e la mostra fu recensita in modo favorevole dalla stampa e dalla critica che se ne occupò fino al 1975 per poi abbandonare il fenomeno. Questo momento segnò un radicale cambiamento di prospettiva per molti writer che iniziarono a sentirsi qualcosa di più che semplici vandali da strada. L'etichetta che venne usata da quel momento in poi fu quella di “graffiti artist”.
Proprio in allora stava emergendo  una seconda generazione di writer come Rammellzee, Koor, Toxic abituati all'uso di sfondi colorati e ornamenti figurativi che sarebbero risultati molto più adatti al mondo dell'arte. Nel settembre del 1980 la galleria Fashion Moda inaugurò Graffiti Art success for America, una collettiva che coinvolse molti di questi artisti di strada. Nel 1981 molti spazi si aprirono  a questo linguaggio: il Mudd Club che vide all'opera il duo Keith Haring e Kenny Sharf , ma soprattutto, la galleria Fashion Moda di Tony Shafrazy. Dopo Documenta Kassel 7 del 1982, durante la quale vennero presentati in esposizione gli artisti della galleria Fashion Moda anche molte gallerie d'Europa iniziarono ad interessarsi a questa nuova espressione artistica.
Sono questi gli anni in cui emergono due tra maggiori rappresentanti della graffiti art . Keith Haring iniziò a disegnare negli spazi pubblici nel 1980 approfittando dei cartelloni vuoti in attesa di affissioni pubblicitarie: i suoi personaggi, dal ragazzo radioattivo al “barking dog”, erano quasi onnipresenti nelle stazioni dei metrò ma raramente sui treni. Nato in Pennsylvania, dopo aver frequentato una scuola d'arte, arrivò a New York nel 1978, quando la città aveva già promosso due campagne contro i graffiti ed era già attiva la seconda generazione dei writer. Si può dire che Haring abbia preso ispirazione dal Graffiti Writing solo per quanto riguarda il medium (la strada, la stazione del metrò) e non per quanto riguarda lo stile e il metodo. Le influenze artistiche gli vengono piuttosto dal mondo dei fumetti e da motivi tribali ripetuti in modo ossessivo. La sua rapida ascesa lo porta presto ad esporre alla galleria Fashion Moda . Sfidando le regole della buona pittura Haring non mescola mai i pigmenti e non utilizza sfumature preferisce le tinte piatte e possibilmente molto sature ,i colori primari e una certa parsimonia nella scelta della tavolozza, impiegava infatti  al massimo 3 colori. 
Il decennio che vede l'ascesa di Haring fu lo stesso che vide nascere e bruciare velocemente la figura di Jean Michel Basquiat, associato spesso alla scena dei graffitisti, Basquiat si mise in evidenza nel 1978 scrivendo SAMO (the same old shit) sui muri di Brooklyn, ma diffondere il suo nome non era il suo intento principale, la sua tag siglava spesso brevi poesie, frasi critiche ad effetto. Le sue opere , composizioni tipografiche miste a rozze rappresentazioni anatomiche con uno stile infantile iniziarono presto a essere vendute a cifre rilevanti. Venne così  a contatto  con Andy Warhol, i due diventarono   amici  lavorando insieme per una famosa serie di opere  . La consacrazione ufficiale arrivò nel 1983 quando fu chiamato assieme a Keith Haring ad esporre alla Biennale del Whitney Museum, aveva solo 22 anni ed era il più giovane artista in mostra. A ventisei anni, tuttavia,  Basquiat era già caduto in un abisso di droga e solitudine da cui non si sarebbe più ripreso. Morì il 18 agosto 1987 per un overdose . Nel 1990 moriva anche Keith Haring, vittima dell' AIDS. Era la chiusura definitiva di un'era , quella della graffiti art degli anni ottanta.

sabato 13 agosto 2011

Consigli per l'estate : L'ultima anguana

L'ultima anguana di Umberto Matino pag 288 edizione Foschi.

La valle dell’orco di Umberto Matino è stato un caso letterario, o quanto meno lo è stato in Veneto. Diecimila copie per un romanzo gotico rurale, edito da una casa editrice attenta, ma non certo di primo piano uscito in sordina e senza alcuna campagna pubblicitaria, considerato l'attuale mercato dei libri in Italia, sono veramente tante. Chi acquista il secondo romanzo di Matino non si attenda tuttavia una semplice e banale riedizione o rifacimento del primo. Certo , lo scenario è il medesimo, vale a dire le valli delle montagne vicentine tra Schio e la Val Posina, l'ambiente è ancora quello rurale e il formato è sempre quello del giallo. Tuttavia ci sono parecchi aspetti che differenziano la prima dalla seconda opera. Innanzitutto il tono della narrazione; Matino sa infatti passare in questo romanzo da un registro leggero, quasi fiabesco, sovente caratterizzato dall’uso azzeccato di termini dialettali che richiamano anche il riso, alla tragedia incombente che precipita all'improvviso . Sono cambiamenti repentini e non annunciati che colgono di sorpresa il lettore, e che differenziano "L’ultima anguana" da "La valle dell’Orco", dove invece la tensione era costante e latente pressoché in ogni pagina del racconto.
Ciò che caratterizza tuttavia maggiormente l'Ultima anguana, a mio parere,  è l'assottigliarsi della trama storica a favore di una riscoperta delle tradizioni locali viste con occhio infantilmente fiabesco . Infatti mentre nel precedente romanzo la narrazione era sostenuta da un imponente apparato storico e di ricerca qui si lascia maggiore spazio alla fantasia emerge il gusto di raccontare una storia, quasi di fare filò con passo  disteso e meno frenetico del primo romanzo .  Molti  di voi si chiederanno per esempio cosa sia un'anguana. Di fatto si tratta di un  personaggio tipico della mitologia alpina. L'anguana   personifica il magico, ma anche la paura, è una creatura legata all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa del mondo romano. «Storicamente, dopo il Concilio di Trento la chiesa prese una posizione netta e ufficiale contro le antiche credenze del popolo e le bollò di eresia e stregoneria. Nacque una strenua lotta a tutto ciò che non rientrava nei canoni ufficiali e che veniva ritenuto pericoloso e fuorviante. Questo atteggiamento però finì per sminuire tutta la vecchia cultura popolare che si era tramandata per secoli, fino a cancellarla ufficialmente. E così il mondo delle anguàne, dei salbanelli e delle streghe fu relegato in clandestinità e sopravvisse solo nei racconti degli anziani» ha dichiarato Matino in una recente intervista . E' il recupero di queste tradizioni popolari che segna in maniera indelebile i caratteri del modo di Matino di scrivere gialli anche se questa volta  l'autore  ha scelto non  più l'hard boiled, il thriller,  ma il poliziesco. Ci troviamo infatti davanti alla struttura tipica del poliziesco all'inglese : un delitto, un commissario che indaga , un aiutante , vale a dire il curato don Andrea, e un colpevole .
Non è mai opportuno parlare della trama quando si scrive di un giallo, anche per lasciare ai lettori il piacere di addentrarsi nella vicenda e di scoprirla a poco a poco, diremo solo che la narrazione è scandita in tre diversi momenti che corrispondono a tre storie parallele . Ci sono tre bambini di città, Vito, Marilù e Pino, che da Vicenza si trasferiscono a Posina per le vacanze estive e si trovano a scoprire segreti terribili che cambieranno le loro vite. C'è il maresciallo Pietro Baldelli, di origine umbra, ma catapultato nella stazione dei carabinieri fuori dal mondo in Val Posina per punizione, che indaga sulle morti misteriose. C'è il prete Alfredo Vanin, anche lui "esiliato" in Val Posina da Vicenza per punizione, che si trasforma in investigatore al servizio del maresciallo Baldelli . Ci sono infine gli abitanti della contrada, aspri come la loro terra, ambigui e misteriosi, che un momento sembrano vittime e il momento dopo si rivelano carnefici.
La suspense procede di pari passo con la descrizione dei paesaggi della vallata e le riflessioni sull'evoluzione della società pedemontana. Il dialetto veneto parlato dai valligiani assume il valore di lingua dell’arcano anche se manca il carattere misterioso e iniziatico e direi quasi esoterico che assumeva nel precedente romanzo il chiuso dialetto cimbro.  Tutto questo è racchiuso in un’unica storia,  giallo e tradizione popolare si fondono in una narrazione semplice e scorrevole perchè scritta in un italiano affabile  e godibile . Un gioiellino narrativo nostrano, dunque, che non lascerà a bocca asciutta chi ha letto apprezzato e amato La valle dell’Orco.
Mauro Peruzzo

lunedì 1 agosto 2011

Consigli per l'estate : Ave Mary


Ave Mary, e la Chiesa invento la donna di Michela Murgia pag 170 edizione Einaudi.

Prima di partire per le ferie , mi soffermo a parlare di un libro sicuramente stimolante, non fosse altro per l'argomento che tratta, vale a dire, la condizione femminile e il suo rapporto con la religione cattolica. Michela Murgia è una scrittrice già affermata e conosciuta , nel 2010 il suo romanzo "Accabadora" ha vinto il premio Campiello letteratura, è , inoltre studiosa di teologia e appassionata dei problemi che concernono il nostro rapporto con il divino . Il libro in questione non si può certo considerare un romanzo, quanto piuttosto una libera conversazione , una chiacchierata fatta tra amici che ci permette di conoscere e discutere di argomenti importanti, ma che il nostro mondo moderno tende a rimuovere . Non vorrei con questo impaurire il lettore, l'opera non è affatto difficile o noiosa, in quanto la scrittrice sarda può concedersi il lusso di parlare di religione e allo stesso tempo inserire parallelismi con il giallo, strizzare l'occhio ai cartoni animati , inserire nella trattazione esempi tratti dalla pubblicità, il tutto accompagnato da uno stile così piacevole da arrivare alla fine del libro e avere nostalgia del momento in cui si è iniziato a leggerlo.
In Ave Mary la Murgia sottolinea tutte le incongruenze, gli errori, i giochi politici e teologici della Chiesa cattolica che hanno perpetuato nei secoli una visione della donna atta a mantenerla in una condizione di subalternità sociale se non di vera e propria inferiorità. Il cattolicesimo non ha certo inventato un modello di donna come essere inferiore, sottomesso, ma ne ha legittimato la sua rappresentazione. Una relazione di sottomissione che porta la donna alla subordinazione anche nel caso estremo in cui debba subire violenza.
Tra le molte pagine degne di nota straordinaria  è quella in cui in sintesi  la scrittrice analizza l'immagine della donna nella pubblicità: sempre snella, in forma, slanciata e dinamica, senza mai rughe o capelli bianchi. Le radici di questo pensiero vanno ricercate anche nella dottrina della Chiesa. Se per le gerarchie ecclesiastiche l'anzianità è sinonimo di saggezza, a nessuna donna è concesso di invecchiare ispirando saggezza. L'immagine di Maria, perennemente giovane e bella, è la prima icona che trasmette l'idea che la donna debba essere così , perchè la Madre di Cristo è la donna del sì, di un sì il quale deve essere inteso come la sublimazione di tutti i sì pretesi dalle donne . Il sì al matrimonio , il sì a tutti i rapporti sessuali che desidera lo sposo, il sì alle gravidanze (sempre) e i sì di obbedienza al padre, al fratello, al marito, al prete. "Attraverso la distorta rappresentazione del sì di Maria la Chiesa ha dato a intendere alle mogli e alle figlie che il loro dissenso [...] è in contraddizione con il progetto di salvezza di Dio". Se le donne sovvertono queste regole, dicendo no, possono aspettarsi solo riprovazione sociale e punizioni. In che modo la chiesa abbia usato l'immagine femminile per rafforzare la propria dottrina si può chiaramente avvertire nella disamina che la scrittrice fa dei processi di canonizzazione e santificazione, che rispondono a una logica estremamente stringente e consona ai valori che la dottrina cattolica  intende trasmettere. Per esempio, tra la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione nel 1854 e quello dell'Assunzione di Maria Vergine al cielo nel 1950, si colloca una  raffica di santificazioni di donne "morte di verginità", come Maria Goretti e Antonia Mesina. Un procedimento progressivo di verginizzazione del modello femminile , che si muove in parallelo con la ridefinizione dell'immagine stessa della Madonna . Sparisce l'immagine della Madonna che allatta il suo bambino o lo stringe tra le braccia, viene cioè rimossa la figura  della Madonna donna e madre, e si fa largo un modello angelicato che strappa Maria dal mondo delle donne normali. Allora si diffonde l'icona di Maria con il capo velato e le mani giunte o allargate, il viso sereno da perenne adolescente rivolto verso il cielo .
Ave Mary ci fa scoprire dunque molti aspetti meno immediati ed evidenti della figura di Maria, e parallelamente ci fa comprendere meglio la collocazione della donna nel contesto sociale occidentale intrecciando sapienza e ironia, Sacre Scritture e vita quotidiana, non dando tregua a tutti gli errori che credenti chic e atei devoti hanno  diffuso attraverso la televisione. "Da cristiana dentro la Chiesa avevo patito spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti di me come donna" afferma la Murgia in un'intervista. Anche un libro può essere un modo per  fare i conti con se stessi e con le proprie questioni  irrisolte . Da leggere.

giovedì 28 luglio 2011

Consigli per l'estate : Acciaio


Acciaio di Silvia Avallone pag.358 edizione Rizzoli

Il romanzo che per una manciata di voti non si è aggiudicato il premio Strega 2010 ha già superato il vincitore in termini di attenzione da parte del pubblico. Indubbiamente non è un libro che possa lasciare indifferenti: o si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo, perché l’argomento è forte ed è espresso con forza. Si parla di adolescenza, ma non è un libro per ragazzine: qui non ci sono due amiche che si scrivono “TVUKDB” fra una festa in casa e una corsa in scooter. Ci sono due quasi quattordicenni che cercano di affermare sé stesse in un contesto soffocante, che non lascia vie d’uscita, e lo fanno scoprendo, in modo innocente e senza malizia, il potere che la loro bellezza ha su chi le circonda. Francesca ha una madre rassegnata e un padre-padrone, Anna una madre battagliera, un padre scavezzacollo e un fratello dalla scorza dura, ma in realtà buono e generoso. Nella loro realtà ristretta e piena di limiti si inserisce di tutto: droga, trasgressione, piccoli furtarelli e truffe vere e proprie, ricerca disperata di un miglioramento nel modo sbagliato, voglia di crescere che spinge nella direzione sbagliata. In tutto questo, Francesca e Anna si stringono l’una all’altra: sono inseparabili da una vita, per loro è inimmaginabile pensarsi lontane. Eppure, a scavare una voragine fra di loro arriva proprio l’amore: quello incompreso di Francesca e quello troppo precoce di Anna. E’ lì che il loro mondo semplice, fatto di luoghi degradati ma per loro importantissimi e del sogno dell’Isola d’Elba che sembra il più bel viaggio mai possibile, si sfracella, separandole e spingendo Francesca su di una strada che potrebbe essere senza ritorno. Di stereotipi , insomma, non ne manca nemmeno uno. La bionda e la bruna. I ragazzi belli e dannati. I maschi arrapati. L’adolescenza inquieta. Il padre cattivo,  e quello cialtrone. la mamma delusa, l’amica racchia e invidiosa, l’amicizia maschile e quella femminile. Ma tutto sommato è un libro ben scritto , cosa ancora più rimarchevole in quanto si tratta di un’opera prima di una scrittrice di soli ventisette anni. Qualcuno lo ha definito “morboso”, ma non contiene una parolaccia ne’ una volgarità in più del necessario . I personaggi, per quanto siano abbastanza scontati, sono ben definiti, ben caratterizzati, si fanno amare o odiare a seconda del loro ruolo. Ci si ritrova ad accompagnarli per le strade assolate, a spiarli dalla finestra o attraverso la vegetazione di un canneto, partecipi di una storia che ci cattura e dalla quale, fatalmente, dobbiamo aspettarci qualche brutto colpo. Che dire alla fine? Leggetelo e poi mandatemi i vostri pareri e i vostri commenti . A molti è piaciuto, come piacciono, in genere, tutti quei romanzi, scritti non malissimo, che confermano i lettori nei loro consolanti luoghi comuni.

mercoledì 20 luglio 2011

Consigli per l'estate : La tomba di Alessandro.

La tomba di Alessandro. L'enigma di Valerio Massimo Manfredi pag.192 edizione Mondadori


Dove riposa il corpo mortale di Alessandro Magno ? Sembra incredibile,vista l'importanza del personaggio,ma non sappiamo nulla di preciso. La storia della tomba di Alessandro è la storia di un'avventura. Districare le infinite leggende dai fatti, interpretare le fonti storiche, lacunose e contraddittorie, addentrarsi nel mito equivale a muoversi verso "una meta enigmatica e sfuggente come i miraggi del deserto". Dopo aver ripercorso con precisione gli ultimi giorni di vita del grande condottiero e aver vagliato le varie ipotesi sulla malattia che lo portò alla morte, Manfredi ci immerge nella vicenda del sepolcro del celebre condottiero macedone sottolineando soprattutto come la sua sepoltura, prima dislocata a Menfi e poi ad Alessandria , fu per molti secoli meta di pellegrinaggi da parte dei potenti della terra, da Cesare a Ottaviano Augusto, e mettendo in evidenza  quale fu per gli antichi il suo significato simbolico e storico. Con l'affermarsi del cristianesimo tuttavia, il sepolcro  in pochi anni cadde nell'oblio, forse a ciò contribuirono anche cause naturali o eventi bellici, e una sorta di damnatio memoriae che colpì tutti i luoghi simbolici del paganesimo, fatto sta che di esso si perse ogni traccia. Nonostante ciò su Alessandria continua ad aleggiare il fantasma del suo fondatore, il mito del condottiero giovane e coraggioso per cui la ricerca  riprese vigore a partire dalla campagna napoleonica in Egitto. Da allora molti archeologi, una serie di avventurieri e cacciatori di tesori, ma anche tante persone comuni, si sono cimentati nell'impresa di ritrovare il corpo del più grande condottiero di tutti i tempi. Inseguendo un mito e un'illusione sorti con la morte stessa dell'eroe invincibile, del giovane dal carisma ineguagliabile, incarnazione dello splendore e della ferocia e delle diverse contraddizioni del genere umano.
Manfredi vaglia con perizia di storico le fonti antiche, analizza i numerosi tentativi di identificazione della tomba: dall'ipotesi di Mahmud el-Falaki, astronomo egiziano (XIX sec.), che cercava la tomba a Shatby, il quartiere greco di Alessandria, a quella che la vuole nell'oasi di Siwa, presso il tempio di Zeus Ammone, a quella , in verità strampalata, che le spoglie del grande personaggio siano state traslate a Venezia, in età paleocristiana, perché scambiate per quelle di San Marco.
Intanto gli archeologi  non cessano l'attività sul  terreno e potrebbero essere sempre più vicini alla scoperta della sepoltura. Un libro storico che si legge d'un fiato. Appassionante come un giallo , ma nello stesso tempo preciso e circostanziato come un manuale di storia.

giovedì 14 luglio 2011

Opera estate cinema a Bassano: i migliori film

Anche questa estate , come ogni anno, si è aperta a Bassano la rassegna Opera Estate che propone in cartellone molteplici avvenimenti: teatro, danza, musica e cinema. Leggendo il programma della rassegna cinematografica ho provato a selezionare 15 film che, a mio parere, sono tra i migliori proposti questo anno nella storica sede dei Giardini Parolini. Chi abbia la possibilità o la voglia di passare in relax una serata d'estate ha un ampio ventaglio di scelte . Bando alle chiacchiere, passiamo ai consigli.

Venerdì 15 luglio: We want sex (Regno unito 2010) di Nigle Cole con Sally Hawkins, Bob Hoskins, Miranda Rchardson, Geraldine James, Rosamund Pike (durata 113)

Rita O'Grady guidò nel 1968 a Ford Dagenham lo sciopero di 187 operaie alle macchine da cucire che pose le basi per la Legge sulla Parità di Retribuzione. Lavorando in condizioni insostenibili e per lunghe ore rubate all'equilibrio della vita domestica, le donne della fabbrica della Ford di Dagenham perdono la pazienza quando vengono riclassificate professionalmente come "operaie non qualificate". Con ironia, buon senso e coraggio riescono a farsi ascoltare dai sindacati, dalla comunità locale ed infine dal governo. Trascinante e ironica commedia sulla working class inglese.

Mercoledì 20 luglio: In un mondo migliore (Danimarca 2010) di Susanne Bier con Mikael Persbrandt, Wil Johnson, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen durata (113)

Premio Oscar 2011 come miglior film straniero . Il dottor Anton che opera in un campo profughi in Africa, torna a casa nella monotona tranquillità di una cittadina della provincia danese. Qui si incrociano le vite di due famiglie e sboccia una straordinaria e rischiosa amicizia tra i giovani Elias  e Christian . La solitudine, la fragilità e il dolore, però, sono in agguato e presto quella stessa amicizia si trasformerà in una pericolosa alleanza e in un inseguimento mozzafiato in cui sarà in gioco la vita stessa dei due adolescenti.

sabato 23 luglio: La versione di Barney (U.S.A., 2010) di Richard J. Lewiscon Dustin Hoffman, Paul Giamatti, Rosamund Pike, MinnieDriver, Rachelle Lefevre, Bruce Greenwood (durata: 132’)

La ragione per cui Barney decide di raccontare ora la sua storia - la sua versione - è che il suo peggior nemico ha appena pubblicato un libro rivelazione che svela i capitoli più compromettenti del passato di Barney: le tante e spesso oscure ragioni dietro al suo successo; i tre matrimoni, tutti e tre finiti; e il mistero tuttora irrisolto della scomparsa del migliore amico di Barney, Boogie, un presunto omicidio del quale Barney rimane il primo sospettato. Tratto dal pluripremiato romanzo di Mordecai Richler

lunedì 25 luglio: Il Grinta (U.S.A., 2010) di Ethan Coen, Joel Coen con Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper, Dakin Matthews, Jarlath Conroy (durata: 110’)

Remake di un classico della storia del cinema interpretato nel 1969 da John Wayne. Dopo che il padre è stato ucciso da un pistolero di nome Tom Chaney, la 14enne Mattie Ross decide di avere la sua vendetta. Per avere aiuto, assolda il più duro dei Marshall del west, Reuben J. 'Rooster' Cogburn, un uomo ruvido e dal carattere difficile che accetta con riluttanza che Mattie lo accompagni nella caccia all'uomo di cui è stato incaricato. A loro si unisce poi un Texas Ranger di nome LaBoeuf, da tempo sulle tracce di Chaney.

mercoledì 27 luglio: Habemus Papam (Italia, 2010) di Nanni Moretti con Margherita Buy, Roberto Nobile, Michel Piccoli, NanniMoretti, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, MassimoDobrovic, Leonardo Della Bianca (durata: 104’)

Divertente e toccante commedia di Nanni Moretti incentrata sui dilemmi interiori di un neo papa in crisi. Il film si apre alla morte del Pontefice e con il Conclave che deve eleggere un nuovo Papa. Ma il neoeletto  è preda dei dubbi e delle ansie, depresso e timoroso di non essere in grado di assolvere il suo compito. Il Vaticano chiama allora uno psicanalista  perché lo assista e lo aiuti a superare i suoi problemi.

domenica 31 luglio: Il discorso del Re (Regno Unito, Australia, 2010) di Tom Hoopercon Helena Bonham Carter, Colin Firth, Guy Pearce, Michael Gambon,Geoffrey Rush, Jennifer Ehle, Timothy Spall (durata: 111’)

Con quattro Oscar al suo attivo il film deve essere considerato come uno dei migliori della stagione . Dopo la morte di suo padre Re Giorgio V  e l'abdicazione di suo fratello Edoardo VIII Bertie , che soffre da tutta la vita di una forma debilitante di balbuzie, viene incoronato Re Giorgio VI d'Inghilterra. Con il suo paese sull'orlo della II Guerra Mondiale e disperatamente bisognoso di un leader, sua moglie, Elisabetta  la futura Regina Madre, organizza al marito un incontro con l'eccentrico logopedista Lionel Logue. Dopo un inizio burrascoso, i due si mettono alla ricerca di un tipo di trattamento non ortodosso, finendo col creare un legame indissolubile.

lunedì 1 agosto: The Social Network(U.S.A., 2010) di David Fincher con Jesse Eisenberg, Andrew Garfield, Rashida Jones, Joseph Mazzello, Brenda Song, Justin Timberlake (durata: 120’)

Per molti è il film dell'anno. In una sera d'autunno del 2003, lo studente di Harvard Mark Zuckerberg, un genio dell'informatica, siede al suo computer e inizia con passione a lavorare ad una nuova idea. Passando con furore tra blog e linguaggi di programmazione, quello che prende vita nella sua stanza diventerà ben presto una rete sociale globale che rivoluzionerà la comunicazione. In soli sei anni e con 500 milioni di amici, Mark Zuckerberg è il più giovane miliardario della storia ma per lui il successo porterà anche complicazioni sia personali, sia legali.

mercoledì 3 agosto: Il ragazzo con la bicicletta (Italia, Francia, 2011) di Jean-Pierre e Luc Dardenne con Cécile de France, Thomas Doret, Jérémie Renier (durata: 87’)

Una delle più belle sorprese dell'ultimo festival di Cannes. Cyril ha quasi dodici anni e una sola idea fissa: ritrovare il padre che lo ha lasciato temporaneamente in un centro di accoglienza per l'infanzia. Incontra per caso Samantha, che ha un negozio da parrucchiera e che accetta di tenerlo con sé durante i fine settimana. Cyril non è del tutto consapevole dell'affetto di Samantha, un affetto di cui ha però un disperato bisogno per placare la sua rabbia.

venerdì 5 agosto: Un gelido inverno (U.S.A., 2010) di Debra Granik con Jennifer Lawrence, John Hawkes, Ashlee Thompson, Valerie Richards, Kevin Breznahan, Dale Dickey (durata:100’)

Un piccolo grande film indipendente vincitore al festival di Torino e candidato a  tre Oscar. Ree Dolly ha diciassette anni, è cresciuta troppo in fretta ed è alla disperata ricerca di suo padre, Jessup, che ha ipotecato la casa per pagarsi la cauzione ed uscire di prigione. Ree accudisce i due fratellini e la madre malata: se suo padre non si presenta in tribunale resterà, oltre che senza soldi, senza casa. Ree inizia a cercare il padre all’interno di una comunità che, protetta dai boschi e dalle montagne, è quasi interamente coinvolta nella produzione di cocaina.

sabato 6 agosto: The Tree of Life (U.S.A., 2010) di Terrence Malick con Brad Pitt, Sean Penn, Fiona Shaw, Jessica Chastain, Kari Matchett, Dalip Singh, Joanna Going, Jackson Hurst (durata: 138’)

Il film è stato il trionfatore dell'ultimo festival di Cannes. E' la storia di una famiglia del Midwest negli anni cinquanta attraverso lo sguardo del figlio maggiore, Jack, nel suo viaggio personale dall'innocenza dell' infanzia alle disillusioni dell' età adulta in cui cerca di tirare le somme di un rapporto conflittuale con il padre . Jack - che da adulto è interpretato da Sean Penn - si sente come un'anima perduta nel mondo moderno che vaga nel tentativo di trovare delle risposte alle origini e al significato della vita, tanto da mettere in discussione anche la sua fede.

lunedì 8 agosto: L’altra verità (Gran Bretagna, Francia, Belgio, Italia, Spagna, 2010) di Ken Loach con Mark Womack, Andrea Lowe, John Bishop, Geoff Bell, JackFortune, Talib Rasool, Craig Lundberg (durata: 109’)

Ancora un film di denuncia per Ken Loach . E' la storia di Fergus, guardia in un'organizzazione che si occupa di sicurezza privata in Iraq, che non accetta la spiegazione ufficiale sulla morte del suo amico Frankie, ucciso sulle sulla Route Irish (strada che collega l'aeroporto di Baghdad alla Green Zone), e mira a scoprire la verità...

Mercoledì 10 agosto: Il gioiellino (Italia , Francia 2011) di Andrea Molaioli con Toni Servillo, Sarah Felberbaum, Remo Girone, Walter Deforest, Renato Carpentieri, Fausto Maria Sciarappa (durata 110)

Un film molto appassionato che racconta lo scandalo Parmalat, ma anche il malcostume dell'Italia degli scandali finanziari. La Leda è una delle maggiori aziende agro-alimentari del Paese: ramificata nei cinque continenti, quotata in Borsa, in continua espansione. Quello che si dice un gioiellino. Ma il management è inadeguato ad affrontare le sfide che il mercato richiede. E infatti il gruppo s'indebita. Sempre di più. Non basta falsificare i bilanci, gonfiare le vendite, chiedere appoggio ai politici, accollare il rischio sui risparmiatori attraverso operazioni di finanza creativa sempre più ardite. La voragine è diventata troppo grande e si prepara a inghiottire tutto.

sabato 13 agosto: Poetry (Corea del Sud, 2010) di Lee Chang-dong con Da-wit Lee, Yong-taek Kim, Jeong-hee Yoon (durata: 139’)

Capolavoro poetico e  doloroso della Corea del Sud. In un piccola città nella provincia del Gyeonggi attraversata dal fiume Han, Mija vive col nipotino, studente liceale. Mija è una donna eccentrica, curiosa, che ama curare il suo aspetto e che indossa cappellini con motivi floreali e vestiti dai colori vivaci. Per caso inizia a seguire dei corsi presso il centro culturale del suo quartiere, e, per la prima volta in vita sua compone un poema. Le sembra di scoprire per la prima volta cose che ha sempre avuto davanti agli occhi. All'improvviso un avvertimento del tutto inaspettato le fa capire che la vita non è bella come pensava

Domenica 14 agosto: Una vita tranquilla (Italia Germania, Francia) di Claudio Cupellini con Toni Servillo, Marco D'Amore, Francesco di Leva Juliane Kholer durata (105)

Rosario Russo è un uomo che ha dovuto abbandonare la sua terra e fuggire dal suo passato. Si è rifatto una seconda vita con un'altra identità, un altro lavoro e un'altra famiglia, in un altro paese, sperando che finalmente questo possa essere il corso sereno della sua vita, finché il destino non decide per lui.Grande film e prova superlativa di Toni Servillo.

Martedì 30 agosto: Another year (Regno Unito 2010) di Mike Leigh con David Bradley, Jim Broadbent, Karina Fernadez, Olivier Maltman, Lesley Manville, Ruth Sheen, Imelda Staunton, Peter Wight (durata 129)

Scene da un matrimonio inglese nel bel film di Mike Leigh. Primavera, estate, autunno e inverno. La famiglia e l'amicizia. Amore e comfort. Gioia e dolore. Speranza e disperazione. Fraternità. La solitudine. Una nascita. Una morte. Il tempo passa... Quattro stagioni, un anno di vita di diversi personaggi che ruotano intorno a Gerri e Tom, una coppia felice cui la vita ha regalato tutto: loro figlio Joe, gli amici Mary e Ken, il fratello di Tom, Ronnie, e altri ancora. Ma se la vita dei due coniugi appare perfetta, lo stesso non si può dire per gli altri. Da non perdere.