venerdì 26 agosto 2011

Graffiti art (parte seconda)

Il grande ritorno d'interesse nei confronti di artisti dei graffiti si deve allo strabiliante sviluppo sociale del fenomeno nel corso degli anni '90: il graffitismo sbarca in Europa per poi dilagare velocemente negli altri continenti, prosperando energicamente in ogni angolo del pianeta e rivelandosi come fenomeno sociale e culturale di massa. Si delinea in questi anni la nuova tendenza stilistica del graffiti-logo: artisti sostituiscono le scritte enigmatiche con decorazioni figurative, veri e propri personaggi o illustrazioni di oggetti, che vengono riprodotti in modo seriale sui muri delle città. La tendenza graffiti-logo evolverà velocemente nelle prime esperienze di Street art, termine con il quale oggi si definisce qualsiasi gesto artistico compiuto in spazi pubblici. I primi ad accorgersi dell'enorme potenziale economico di questa cultura sono i pubblicitari e gli studi grafici: molti Street artists si formano come grafici, avvantaggiati rispetto ai colleghi dall'aver sperimentato e maturato linguaggi visivi nuovi, forti e impattanti. Il loro modo si impone nella pubblicità e diventa di moda.
La Street art è da sempre accomunata ai graffiti, ma a differenza del writing , non è vincolata all'uso di spray e allo studio del lettering. Si riscontra anche una diversità di tematiche, in quanto la street art è basata su un pensiero più sociale e politico, e tende a creare un dialogo con le persone e ad analizzare ideali o fantasie intimistiche dell'artista. In alcuni casi inoltre, la Street Art non distrugge o copre l'ambiente preesistente, ma lo integra con installazioni.
L'interesse pubblico per questa "arte di strada" è esploso intorno al 2000, grazie anche agli stencil di Banksy. Nonostante la fama ormai mondiale, è inspiegabile come questo artista sia riuscito a mantenere l'anonimato. Di certo si sa solo che è originario di Bristol, città dove appaiono i suoi primi lavori. Il primo contatto tra Banksy e i graffiti avviene nel 1995. Le opere di Banksy sono quasi sempre a sfondo satirico, incentrate su temi come la politica, l'etica e la guerra. Molto spesso i suoi lavori denunciano le multinazionali e le industrie. L'artista predilige la tecnica dello Stencil. Il messaggio solitamente espresso è anti-militarista, anti-capitalistico, anti-istituzionale. I suoi lavori di provocazione urbana, lo hanno reso un’artista ormai famoso non solo nell’ambiente underground. Sono ormai famosi in tutto il mondo i suoi Stencil di Rats (topi). Il soggetto dei topi è stato scelto in quanto odiati, cacciati e perseguitati, eppure capaci di mettere in ginocchio intere civiltà, identificazione tra rats e writers. Nonostante la sua fama ormai mondiale e il pieno riconoscimento dei suoi lavori come opere d'arte, uno dei suoi più famosi murales, è stato recentemente rimosso: il suo valore stimato si aggirava intorno ai 400 mila euro. Questo fatto, dimostra come ancora la nostra società non sia pronta ad accettare quella che può essere a tutti gli effetti considerata l'arte del presente prima di definire un oggetto "bello" bisogna accettarne le caratteristiche linguistiche, per questo ciò che è nuovo e quindi non ancora presente nell'immaginario collettivo, non viene ritenuto esteticamente positivo.
Shepard Fairey, più conosciuto come Obey, ci propone delle immagini dallo stile urbano che si contraddistinguono dalla massa per i riferimenti alle icone più famose e per le tecniche svariate che utilizza: dallo stencil alla pittura, dagli sticker al collage. Ma è soprattutto l’esercizio visivo e intellettuale estremamente raffinato e pieno di humour alla base della sua ricerca che ha intrigato e provocato più di un passante e  oggi suscita non pochi interessi nell’ambito della critica e del collezionismo più attento. Affascinante e brillante Obey ci spiega, in maniera appassionata, come l’obiettivo della sua ricerca artistica è condurre la gente ‘prima a pensare e poi a reagire’, non il contrario, come spesso è accaduto.
Lo street artist Space Invader inizia la sua opera a Parigi nel 1998 dando origine ad un progetto artistico su "scala globale". L'artista realizza dei piccoli mosaici utilizzando piccole piastrelle colorate che riprendono le forme degli alieni presenti nel videogioco.  I mosaici vengono realizzati in laboratorio dopodiché Space invader li porta con sé e una volta scelta la città si munisce di mappa ed impiega almeno una settimana per collocarli. I luoghi nei quali vengono collocati questi mosaici non sono casuali ma sono scelti in base a diversi criteri tra cui l'estetica, la posizione strategica, la bassa o alta frequentazione di persone. A Montpellier per esempio la collocazione dei mosaici è stata scelta in modo tale da formare l'immagine gigantesca di un invasore spaziale una volta riportate sulla mappa la posizione delle singole installazioni.

mercoledì 24 agosto 2011

Un fenomeno chiamato Graffiti Art (parte prima)

Parliamo oggi di Graffiti, molti ritengono ancora che imbrattare i muri con disegni o scritte sia da considerarsi un imperdonabile atto di vandalismo. In molti casi questo può essere vero, ma bisogna tener presente che scrivere sui muri della città è un'abitudine antica come l'uomo, considerato che sono state trovate scritte anche sui muri di Pompei ,e comunque si deve prestare attenzione a questi fenomeni di cultura urbana perchè ne possono scaturire movimenti artistici di notevole interesse. E' il caso, per esempio, della  Graffiti Art. La Graffiti Art inizia negli Stati Uniti e in particolar modo nella città di  Philadelphia in Pennsylvania verso la fine degli anni 60, tuttavia il movimento si trasferisce molto presto a New York dove nomi e soprannomi dei graffitisti iniziarono ad apparire sugli edifici , sulle cassette delle poste , sui vagoni delle metropolitane . Nel 1971 , per la prima volta, uno dei più grandi quotidiani del mondo il New York Times, dedicò un articolo a un graffitista che si firmava con il nome di TAKI 183 , utilizzando il numero civico della strada in cui viveva. Nessun writer tra l'inizio degli anni settanta e la fine degli ottanta, avrebbe definito la propria attività come artistica. Writer, scrittori, era questa la definizione che usavano per loro stessi tutti quei ragazzi neri, portoricani o semplicemente newyorkesi che accettarono la sfida di scegliere un nome di fantasia (una firma, tag) e di scriverlo con uno stile migliore degli altri tanto spesso da cambiare il volto della città. Per diversi anni il fenomeno rimase confinato a quella stretta cerchia di adepti . Il mondo dei writer infatti è sempre stato molto  autoreferenziale: lo stile delle lettere ornate da facce e da sbarre evolvette presto verso l'illeggibilità, così barocco da risultare comprensibile solo agli altri writer. Si trattava di una intera sottocultura che girava intorno al culto del nome , all'occupazione dello spazio pubblico come mezzo per attirare l'attenzione , alla competizione tra writer basata su parametri assolutamente non artistici come la quantità, la dimensione dei pezzi, la ripetitività ossessiva della propria firma e da ultimo il possesso di uno stile personale. Il mercato dell'arte proprio in quegli anni era assetato di novità e i graffiti rappresentavano a pieno titolo la controcultura, il prodotto delle classi sociali disagiate con pochi mezzi ma una energia dirompente, era difficile perciò non notarli. Il 15 settembre 1973 un gruppo costituito da un centinaio di writer tra cui Phase2, Mico, Coco 144, Flint 707, Bama, Snake, guidati dal sociologo Hugo Martinez tenne la sua prima mostra alla Razor Gallery. Tutti i lavori furono venduti tra i 300 e i 3000 dollari e la mostra fu recensita in modo favorevole dalla stampa e dalla critica che se ne occupò fino al 1975 per poi abbandonare il fenomeno. Questo momento segnò un radicale cambiamento di prospettiva per molti writer che iniziarono a sentirsi qualcosa di più che semplici vandali da strada. L'etichetta che venne usata da quel momento in poi fu quella di “graffiti artist”.
Proprio in allora stava emergendo  una seconda generazione di writer come Rammellzee, Koor, Toxic abituati all'uso di sfondi colorati e ornamenti figurativi che sarebbero risultati molto più adatti al mondo dell'arte. Nel settembre del 1980 la galleria Fashion Moda inaugurò Graffiti Art success for America, una collettiva che coinvolse molti di questi artisti di strada. Nel 1981 molti spazi si aprirono  a questo linguaggio: il Mudd Club che vide all'opera il duo Keith Haring e Kenny Sharf , ma soprattutto, la galleria Fashion Moda di Tony Shafrazy. Dopo Documenta Kassel 7 del 1982, durante la quale vennero presentati in esposizione gli artisti della galleria Fashion Moda anche molte gallerie d'Europa iniziarono ad interessarsi a questa nuova espressione artistica.
Sono questi gli anni in cui emergono due tra maggiori rappresentanti della graffiti art . Keith Haring iniziò a disegnare negli spazi pubblici nel 1980 approfittando dei cartelloni vuoti in attesa di affissioni pubblicitarie: i suoi personaggi, dal ragazzo radioattivo al “barking dog”, erano quasi onnipresenti nelle stazioni dei metrò ma raramente sui treni. Nato in Pennsylvania, dopo aver frequentato una scuola d'arte, arrivò a New York nel 1978, quando la città aveva già promosso due campagne contro i graffiti ed era già attiva la seconda generazione dei writer. Si può dire che Haring abbia preso ispirazione dal Graffiti Writing solo per quanto riguarda il medium (la strada, la stazione del metrò) e non per quanto riguarda lo stile e il metodo. Le influenze artistiche gli vengono piuttosto dal mondo dei fumetti e da motivi tribali ripetuti in modo ossessivo. La sua rapida ascesa lo porta presto ad esporre alla galleria Fashion Moda . Sfidando le regole della buona pittura Haring non mescola mai i pigmenti e non utilizza sfumature preferisce le tinte piatte e possibilmente molto sature ,i colori primari e una certa parsimonia nella scelta della tavolozza, impiegava infatti  al massimo 3 colori. 
Il decennio che vede l'ascesa di Haring fu lo stesso che vide nascere e bruciare velocemente la figura di Jean Michel Basquiat, associato spesso alla scena dei graffitisti, Basquiat si mise in evidenza nel 1978 scrivendo SAMO (the same old shit) sui muri di Brooklyn, ma diffondere il suo nome non era il suo intento principale, la sua tag siglava spesso brevi poesie, frasi critiche ad effetto. Le sue opere , composizioni tipografiche miste a rozze rappresentazioni anatomiche con uno stile infantile iniziarono presto a essere vendute a cifre rilevanti. Venne così  a contatto  con Andy Warhol, i due diventarono   amici  lavorando insieme per una famosa serie di opere  . La consacrazione ufficiale arrivò nel 1983 quando fu chiamato assieme a Keith Haring ad esporre alla Biennale del Whitney Museum, aveva solo 22 anni ed era il più giovane artista in mostra. A ventisei anni, tuttavia,  Basquiat era già caduto in un abisso di droga e solitudine da cui non si sarebbe più ripreso. Morì il 18 agosto 1987 per un overdose . Nel 1990 moriva anche Keith Haring, vittima dell' AIDS. Era la chiusura definitiva di un'era , quella della graffiti art degli anni ottanta.

sabato 13 agosto 2011

Consigli per l'estate : L'ultima anguana

L'ultima anguana di Umberto Matino pag 288 edizione Foschi.

La valle dell’orco di Umberto Matino è stato un caso letterario, o quanto meno lo è stato in Veneto. Diecimila copie per un romanzo gotico rurale, edito da una casa editrice attenta, ma non certo di primo piano uscito in sordina e senza alcuna campagna pubblicitaria, considerato l'attuale mercato dei libri in Italia, sono veramente tante. Chi acquista il secondo romanzo di Matino non si attenda tuttavia una semplice e banale riedizione o rifacimento del primo. Certo , lo scenario è il medesimo, vale a dire le valli delle montagne vicentine tra Schio e la Val Posina, l'ambiente è ancora quello rurale e il formato è sempre quello del giallo. Tuttavia ci sono parecchi aspetti che differenziano la prima dalla seconda opera. Innanzitutto il tono della narrazione; Matino sa infatti passare in questo romanzo da un registro leggero, quasi fiabesco, sovente caratterizzato dall’uso azzeccato di termini dialettali che richiamano anche il riso, alla tragedia incombente che precipita all'improvviso . Sono cambiamenti repentini e non annunciati che colgono di sorpresa il lettore, e che differenziano "L’ultima anguana" da "La valle dell’Orco", dove invece la tensione era costante e latente pressoché in ogni pagina del racconto.
Ciò che caratterizza tuttavia maggiormente l'Ultima anguana, a mio parere,  è l'assottigliarsi della trama storica a favore di una riscoperta delle tradizioni locali viste con occhio infantilmente fiabesco . Infatti mentre nel precedente romanzo la narrazione era sostenuta da un imponente apparato storico e di ricerca qui si lascia maggiore spazio alla fantasia emerge il gusto di raccontare una storia, quasi di fare filò con passo  disteso e meno frenetico del primo romanzo .  Molti  di voi si chiederanno per esempio cosa sia un'anguana. Di fatto si tratta di un  personaggio tipico della mitologia alpina. L'anguana   personifica il magico, ma anche la paura, è una creatura legata all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa del mondo romano. «Storicamente, dopo il Concilio di Trento la chiesa prese una posizione netta e ufficiale contro le antiche credenze del popolo e le bollò di eresia e stregoneria. Nacque una strenua lotta a tutto ciò che non rientrava nei canoni ufficiali e che veniva ritenuto pericoloso e fuorviante. Questo atteggiamento però finì per sminuire tutta la vecchia cultura popolare che si era tramandata per secoli, fino a cancellarla ufficialmente. E così il mondo delle anguàne, dei salbanelli e delle streghe fu relegato in clandestinità e sopravvisse solo nei racconti degli anziani» ha dichiarato Matino in una recente intervista . E' il recupero di queste tradizioni popolari che segna in maniera indelebile i caratteri del modo di Matino di scrivere gialli anche se questa volta  l'autore  ha scelto non  più l'hard boiled, il thriller,  ma il poliziesco. Ci troviamo infatti davanti alla struttura tipica del poliziesco all'inglese : un delitto, un commissario che indaga , un aiutante , vale a dire il curato don Andrea, e un colpevole .
Non è mai opportuno parlare della trama quando si scrive di un giallo, anche per lasciare ai lettori il piacere di addentrarsi nella vicenda e di scoprirla a poco a poco, diremo solo che la narrazione è scandita in tre diversi momenti che corrispondono a tre storie parallele . Ci sono tre bambini di città, Vito, Marilù e Pino, che da Vicenza si trasferiscono a Posina per le vacanze estive e si trovano a scoprire segreti terribili che cambieranno le loro vite. C'è il maresciallo Pietro Baldelli, di origine umbra, ma catapultato nella stazione dei carabinieri fuori dal mondo in Val Posina per punizione, che indaga sulle morti misteriose. C'è il prete Alfredo Vanin, anche lui "esiliato" in Val Posina da Vicenza per punizione, che si trasforma in investigatore al servizio del maresciallo Baldelli . Ci sono infine gli abitanti della contrada, aspri come la loro terra, ambigui e misteriosi, che un momento sembrano vittime e il momento dopo si rivelano carnefici.
La suspense procede di pari passo con la descrizione dei paesaggi della vallata e le riflessioni sull'evoluzione della società pedemontana. Il dialetto veneto parlato dai valligiani assume il valore di lingua dell’arcano anche se manca il carattere misterioso e iniziatico e direi quasi esoterico che assumeva nel precedente romanzo il chiuso dialetto cimbro.  Tutto questo è racchiuso in un’unica storia,  giallo e tradizione popolare si fondono in una narrazione semplice e scorrevole perchè scritta in un italiano affabile  e godibile . Un gioiellino narrativo nostrano, dunque, che non lascerà a bocca asciutta chi ha letto apprezzato e amato La valle dell’Orco.
Mauro Peruzzo

lunedì 1 agosto 2011

Consigli per l'estate : Ave Mary


Ave Mary, e la Chiesa invento la donna di Michela Murgia pag 170 edizione Einaudi.

Prima di partire per le ferie , mi soffermo a parlare di un libro sicuramente stimolante, non fosse altro per l'argomento che tratta, vale a dire, la condizione femminile e il suo rapporto con la religione cattolica. Michela Murgia è una scrittrice già affermata e conosciuta , nel 2010 il suo romanzo "Accabadora" ha vinto il premio Campiello letteratura, è , inoltre studiosa di teologia e appassionata dei problemi che concernono il nostro rapporto con il divino . Il libro in questione non si può certo considerare un romanzo, quanto piuttosto una libera conversazione , una chiacchierata fatta tra amici che ci permette di conoscere e discutere di argomenti importanti, ma che il nostro mondo moderno tende a rimuovere . Non vorrei con questo impaurire il lettore, l'opera non è affatto difficile o noiosa, in quanto la scrittrice sarda può concedersi il lusso di parlare di religione e allo stesso tempo inserire parallelismi con il giallo, strizzare l'occhio ai cartoni animati , inserire nella trattazione esempi tratti dalla pubblicità, il tutto accompagnato da uno stile così piacevole da arrivare alla fine del libro e avere nostalgia del momento in cui si è iniziato a leggerlo.
In Ave Mary la Murgia sottolinea tutte le incongruenze, gli errori, i giochi politici e teologici della Chiesa cattolica che hanno perpetuato nei secoli una visione della donna atta a mantenerla in una condizione di subalternità sociale se non di vera e propria inferiorità. Il cattolicesimo non ha certo inventato un modello di donna come essere inferiore, sottomesso, ma ne ha legittimato la sua rappresentazione. Una relazione di sottomissione che porta la donna alla subordinazione anche nel caso estremo in cui debba subire violenza.
Tra le molte pagine degne di nota straordinaria  è quella in cui in sintesi  la scrittrice analizza l'immagine della donna nella pubblicità: sempre snella, in forma, slanciata e dinamica, senza mai rughe o capelli bianchi. Le radici di questo pensiero vanno ricercate anche nella dottrina della Chiesa. Se per le gerarchie ecclesiastiche l'anzianità è sinonimo di saggezza, a nessuna donna è concesso di invecchiare ispirando saggezza. L'immagine di Maria, perennemente giovane e bella, è la prima icona che trasmette l'idea che la donna debba essere così , perchè la Madre di Cristo è la donna del sì, di un sì il quale deve essere inteso come la sublimazione di tutti i sì pretesi dalle donne . Il sì al matrimonio , il sì a tutti i rapporti sessuali che desidera lo sposo, il sì alle gravidanze (sempre) e i sì di obbedienza al padre, al fratello, al marito, al prete. "Attraverso la distorta rappresentazione del sì di Maria la Chiesa ha dato a intendere alle mogli e alle figlie che il loro dissenso [...] è in contraddizione con il progetto di salvezza di Dio". Se le donne sovvertono queste regole, dicendo no, possono aspettarsi solo riprovazione sociale e punizioni. In che modo la chiesa abbia usato l'immagine femminile per rafforzare la propria dottrina si può chiaramente avvertire nella disamina che la scrittrice fa dei processi di canonizzazione e santificazione, che rispondono a una logica estremamente stringente e consona ai valori che la dottrina cattolica  intende trasmettere. Per esempio, tra la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione nel 1854 e quello dell'Assunzione di Maria Vergine al cielo nel 1950, si colloca una  raffica di santificazioni di donne "morte di verginità", come Maria Goretti e Antonia Mesina. Un procedimento progressivo di verginizzazione del modello femminile , che si muove in parallelo con la ridefinizione dell'immagine stessa della Madonna . Sparisce l'immagine della Madonna che allatta il suo bambino o lo stringe tra le braccia, viene cioè rimossa la figura  della Madonna donna e madre, e si fa largo un modello angelicato che strappa Maria dal mondo delle donne normali. Allora si diffonde l'icona di Maria con il capo velato e le mani giunte o allargate, il viso sereno da perenne adolescente rivolto verso il cielo .
Ave Mary ci fa scoprire dunque molti aspetti meno immediati ed evidenti della figura di Maria, e parallelamente ci fa comprendere meglio la collocazione della donna nel contesto sociale occidentale intrecciando sapienza e ironia, Sacre Scritture e vita quotidiana, non dando tregua a tutti gli errori che credenti chic e atei devoti hanno  diffuso attraverso la televisione. "Da cristiana dentro la Chiesa avevo patito spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti di me come donna" afferma la Murgia in un'intervista. Anche un libro può essere un modo per  fare i conti con se stessi e con le proprie questioni  irrisolte . Da leggere.