martedì 25 dicembre 2012

Quell'individuo sospetto


Uffa  è appena finito l'allenamento. Oggi il mister era veramente irritato e ci ha fatto fare il doppio degli esercizi. Penso che potrei dormire per una settimana intera senza nemmeno svegliarmi. Ora torno a casa e mi addormento sul letto, senza nemmeno cenare. Sono le sette di sera di una lunga e faticosa giornata di novembre: stamattina verifica di matematica e interrogazione di storia, tornato a casa mamma si è arrabbiata perché il cane ha pisciato sul letto e, ovviamente, è come se io  avessi pisciato e quindi ho dovuto levare tutte le lenzuola, coperte e i  copri letti e sbatterli in lavatrice, che me li ha restituiti di un giallo fluorescente perché avevo sbagliato detersivo; poi parto per andare all'allenamento e arrivato in palestra scopro di aver perso il portafoglio. La giornata peggiore della mia vita! Sarei stato pronto a scommettere che peggio di così non sarebbe potuto andare, ma ricordandomi tutti i film in cui i personaggi facevano il mio stesso ragionamento e poi si metteva a piovere, era meglio tacere. Ci mancava solamente la pioggia a peggiorare la giornata! Ottocento metri mi separavano dal mio amato letto. Mi stavo letteralmente addormentando in piedi e decisi di percorrere l'isolata stradina più breve ma che mai attraversavo. 
Davanti a un diroccato negozietto di lettura della mano, magia e cartomanzia gestito da una certa "Madame Sasal" si trovava una figura nera e immobile. Indossava un lungo cappotto nero che le arrivava fino alle ginocchia, coperte da una lunghe veste anch'essa nera. Le scarpe erano impossibili anche solo da intravedere perché nascoste dalla veste. Le gambe erano dritte, immobili anche se sotto quella veste era difficile determinarne la corporatura. Le mani erano nella tasca del cappotto. Un grande cappuccio nero le copriva il volto. Quando mi notò, si girò di scatto dalla mia parte e il vento le tolse il cappuccio: era una donna dai tipici lineamenti latini, dalla pelle color nocciola e dai lunghi e scomposti capelli neri. La cosa che più mi colpì però furono gli occhi, tenebrosi e crudeli, bianchi , quasi senza pupilla. Guardandoli una sensazione di sconforto e sottomissione mi invase: mi sembrava di essere inutile, una monotona pedina nel grande tabellone chiamato Terra. Chi ero io, dopotutto? Un ragazzino insignificante! Come potevo io competere con quei magici occhi maledetti che mi stavano scrutando? La bocca della donna, rosso sangue, pronunciò una parola ma non riuscì a percepirla, ma mi accorsi che il mio corpo non mi rispondeva più. Mi stavo avvicinando sempre di più alla donna, ora riuscivo a percepire il suo profumo di rosa rossa. Più mi avvicinavo più tratti di lei riuscivo a intendere: avrà avuto una trentina d'anni ed era snella. Stava lentamente estraendo la mano dalla tasca e intravidi le sue mani, piccole e delicate ma allo stesso tempo malvagie e assassine e le unghie lunghe e affilate dello stesso colore rosso sangue delle labbra. Vidi che la sua mano destra stringeva un manico di qualcosa. Finalmente capì, ciò che aveva in mano era un coltello. Volevo scappare, ritornarmene a casa ma non ci riuscivo; il corpo non rispondeva, non potevo fuggire! Improvvisamente un rumore ruppe quel maledetto silenzio. La donna distolse lo sguardo da me e guardò precipitosa una stradina che portava ad una vecchi fabbrica abbandonata, dalle assi cadenti e dalla porta cadente. Le finestre erano distrutte, i vetri vittima probabilmente di qualche sparatoria. La donna corse verso l'edificio e finalmente potevo pensare da me e usare il mio corpo. Raccolsi la sacca da ginnastica caduta e corsi a casa, con il pensiero che finalmente avrei potuto coricarmi nel mio letto odoroso di pipì e con le coperte fluorescenti. 

Niccolò Rossi

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