sabato 13 agosto 2011

Consigli per l'estate : L'ultima anguana

L'ultima anguana di Umberto Matino pag 288 edizione Foschi.

La valle dell’orco di Umberto Matino è stato un caso letterario, o quanto meno lo è stato in Veneto. Diecimila copie per un romanzo gotico rurale, edito da una casa editrice attenta, ma non certo di primo piano uscito in sordina e senza alcuna campagna pubblicitaria, considerato l'attuale mercato dei libri in Italia, sono veramente tante. Chi acquista il secondo romanzo di Matino non si attenda tuttavia una semplice e banale riedizione o rifacimento del primo. Certo , lo scenario è il medesimo, vale a dire le valli delle montagne vicentine tra Schio e la Val Posina, l'ambiente è ancora quello rurale e il formato è sempre quello del giallo. Tuttavia ci sono parecchi aspetti che differenziano la prima dalla seconda opera. Innanzitutto il tono della narrazione; Matino sa infatti passare in questo romanzo da un registro leggero, quasi fiabesco, sovente caratterizzato dall’uso azzeccato di termini dialettali che richiamano anche il riso, alla tragedia incombente che precipita all'improvviso . Sono cambiamenti repentini e non annunciati che colgono di sorpresa il lettore, e che differenziano "L’ultima anguana" da "La valle dell’Orco", dove invece la tensione era costante e latente pressoché in ogni pagina del racconto.
Ciò che caratterizza tuttavia maggiormente l'Ultima anguana, a mio parere,  è l'assottigliarsi della trama storica a favore di una riscoperta delle tradizioni locali viste con occhio infantilmente fiabesco . Infatti mentre nel precedente romanzo la narrazione era sostenuta da un imponente apparato storico e di ricerca qui si lascia maggiore spazio alla fantasia emerge il gusto di raccontare una storia, quasi di fare filò con passo  disteso e meno frenetico del primo romanzo .  Molti  di voi si chiederanno per esempio cosa sia un'anguana. Di fatto si tratta di un  personaggio tipico della mitologia alpina. L'anguana   personifica il magico, ma anche la paura, è una creatura legata all'acqua, dalle caratteristiche in parte simili a quelle di una ninfa del mondo romano. «Storicamente, dopo il Concilio di Trento la chiesa prese una posizione netta e ufficiale contro le antiche credenze del popolo e le bollò di eresia e stregoneria. Nacque una strenua lotta a tutto ciò che non rientrava nei canoni ufficiali e che veniva ritenuto pericoloso e fuorviante. Questo atteggiamento però finì per sminuire tutta la vecchia cultura popolare che si era tramandata per secoli, fino a cancellarla ufficialmente. E così il mondo delle anguàne, dei salbanelli e delle streghe fu relegato in clandestinità e sopravvisse solo nei racconti degli anziani» ha dichiarato Matino in una recente intervista . E' il recupero di queste tradizioni popolari che segna in maniera indelebile i caratteri del modo di Matino di scrivere gialli anche se questa volta  l'autore  ha scelto non  più l'hard boiled, il thriller,  ma il poliziesco. Ci troviamo infatti davanti alla struttura tipica del poliziesco all'inglese : un delitto, un commissario che indaga , un aiutante , vale a dire il curato don Andrea, e un colpevole .
Non è mai opportuno parlare della trama quando si scrive di un giallo, anche per lasciare ai lettori il piacere di addentrarsi nella vicenda e di scoprirla a poco a poco, diremo solo che la narrazione è scandita in tre diversi momenti che corrispondono a tre storie parallele . Ci sono tre bambini di città, Vito, Marilù e Pino, che da Vicenza si trasferiscono a Posina per le vacanze estive e si trovano a scoprire segreti terribili che cambieranno le loro vite. C'è il maresciallo Pietro Baldelli, di origine umbra, ma catapultato nella stazione dei carabinieri fuori dal mondo in Val Posina per punizione, che indaga sulle morti misteriose. C'è il prete Alfredo Vanin, anche lui "esiliato" in Val Posina da Vicenza per punizione, che si trasforma in investigatore al servizio del maresciallo Baldelli . Ci sono infine gli abitanti della contrada, aspri come la loro terra, ambigui e misteriosi, che un momento sembrano vittime e il momento dopo si rivelano carnefici.
La suspense procede di pari passo con la descrizione dei paesaggi della vallata e le riflessioni sull'evoluzione della società pedemontana. Il dialetto veneto parlato dai valligiani assume il valore di lingua dell’arcano anche se manca il carattere misterioso e iniziatico e direi quasi esoterico che assumeva nel precedente romanzo il chiuso dialetto cimbro.  Tutto questo è racchiuso in un’unica storia,  giallo e tradizione popolare si fondono in una narrazione semplice e scorrevole perchè scritta in un italiano affabile  e godibile . Un gioiellino narrativo nostrano, dunque, che non lascerà a bocca asciutta chi ha letto apprezzato e amato La valle dell’Orco.
Mauro Peruzzo

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